Una Chiesa povera
«Caro direttore, le scrivo a proposito del provvedimento di papa Francesco per la riduzione degli stipendi a cardinali e religiosi del Vaticano, per via della pandemia e delle mancate entrate. Le testate giornalistiche hanno svelato redditi di prelati superiori a 5 mila euro. Trovo la questione vergognosa e sapendo in quale frangente tante persone, e non solo straniere, versano in condizioni estreme, sarebbe opportuno che la classe cardinalizia tenesse uno stile di vita più consono all’esercizio della pratica religiosa. Certamente i privilegi si sono rinsaldati nel tempo e sono stati avvallati da una Chiesa-potere amante del fasto della gerarchia. Papa Francesco, a cui va il merito di aver sdoganato il concetto di Chiesa come privilegio, ha auspicato più volte la necessità di una Chiesa povera per i poveri. Occorre che proprio “chi sta in alto” ritorni alle fonti francescane, benedettine, carmelitane e viva con consapevolezza la sobrietà dei costumi. E la stessa politica, per onestà, dovrebbe allinearsi. Cordiali saluti».
Germana M.
Non possiamo che essere d’accordo con la nostra lettrice. E con lei fare il tifo per papa Francesco e per la sua opera di riforma della Chiesa. Chiesa che – possiamo girarci attorno finché vogliamo, cavarcela ogni volta con la scusa che anch’essa è fatta di donne e uomini peccatori – è indubitabile abbia nel tempo consapevolmente assunto forme di potere e di sfarzo, del tutto anti evangeliche. Anche se ciò non ha mai impedito allo Spirito Santo di suscitare percorsi di conversione, di bene e di santità.
Quello che mi capita sempre più di pensare, però, è che effettivamente non si può dare una conversione solo in capite se non anche in membris. È una formula in latino coniata al concilio di Costanza (1414-1418), abbastanza intuibile nel suo senso. Voglio dire, va bene togliere potere, privilegi e sfarzo alla gerarchia, ma noi, noi semplici cristiani, e le nostre comunità, noi siamo a nostra volta disposti a queste rinunce? Siamo disposti, cioè, a tornare a essere delle minoranze, poco ascoltate e ancor meno prese in considerazione? Siamo disposti a non rappresentare più la «religione ufficiale dell’Occidente»? A non godere più dei privilegi dei crocifissi appesi nelle aule, delle feste religiose riconosciute come festività civili, dei vescovi messi alla pari di altre autorità, come il comandante dei carabinieri o il prefetto? A non dettare più le agende legislative dei nostri governi? A non pretendere che chi viene da noi, nei nostri Paesi, rinunci alla propria religione?
Siamo finalmente consapevoli che si è cristiani non per semplice appartenenza etnica e geografica, ma perché si sceglie di accogliere il dono della salvezza che solo Gesù Cristo può darci? E che questa scelta cambia le nostre esistenze, ci fa testimoni del Risorto attraverso la concretezza della nostra quotidianità, soprattutto nell’amore per i più piccoli e i poveri? Se al nostro parroco chiediamo di fare tutto quello che dovrebbe fare, di essere presente ovunque, siamo disposti a farci carico del suo sostentamento, o dovrebbe andare anche a lavorare per mantenersi? Siamo pronti per una maggior condivisione di pesi e di responsabilità? La posta in gioco è davvero importante, e nessuno può chiamarsene fuori. Perché l’unica vera fonte a cui tornare è quella del… Vangelo di Gesù Cristo.
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