Quella somiglianza che ci salva

I quarant’anni della Comunità San Francesco fondata, nel nome del Santo e nello spirito di san Francesco, per persone in difficoltà. Un luogo di approdo per un’amicizia «terapeutica».
19 Settembre 2019 | di

«Cristo mostra al Padre la sola somiglianza che ha con noi. Egli infatti è infinitamente superiore a noi in tutte le sue manifestazioni: in una sola cosa non è diverso da noi, nella realtà della sua condizione di servo (cf. Fil 2,7)». Sant’Antonio, Domenica XIII dopo Pentecoste.

 

Oggi, 3 luglio 2019, non posso non ricordare il compleanno della Comunità San Francesco in cui vivo con i miei fratelli frati Michele, Gabriele e Darwin, e con tanti amici. Iniziano i quarant’anni da quando si volle dare vita, nel nome del Santo e nello spirito di san Francesco, a un convento in cui vivessero sotto lo stesso tetto giovani francescani e altre persone in cerca di un approdo, di un gancio, di un’occasione di migliore incontro con se stessi e con i propri destini. Il luogo di un «con-venire» capace di far sentire a casa, il segno/sogno di una nuova amicizia «terapeutica», voluto con giovanile imprudenza per contrastare mali di vivere tradotti in solitudine, in desertificazione spirituale, nel cedimento a nuove e vecchie dipendenze.

«I Frati Minori devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto…» insegna san Francesco: cioè sulla strada, nelle occasioni più disparate e disperate, con chi ride e con chi piange, con un occhio di riguardo ai secondi. Così prese forma anche questa opportunità, mentre si svelava giorno per giorno il segreto che già era nel sogno, cioè che avremmo imparato a essere uomini di Dio proprio nell’atto di accogliere.

I volti di coloro ai quali abbiamo aperto le porte in quarant’anni sono diventati per noi maestri: è sempre stato l’ultimo «naufrago» tirato a bordo – passi l’aggancio con altre attualità – a ridefinire la nostra umanità. Un esempio per tutti: non saremmo stati capaci di sostenere tanti amici nella liberazione dai legami con l’alcol se non avessimo imparato con loro – noi frati per primi –, a considerare e a prevenire certi rischi a partire dal nostro stile di vita. E quindi se nei conventi e nelle abbazie del passato era ritenuto un bel segno di accoglienza e di gioia il condividere del «buon vino», oggi si è molto meno sicuri di ciò, si è diventati più accorti, proprio grazie anche ai segni di sofferenze finalmente comprese e vissute.

Sant’Antonio, nel sermone citato in pagina, ci dice che Gesù Cristo ci ha salvati e ci salva presso il Padre perché gli mostra ciò che sta condividendo con noi creature di carne. Non fa forza sulla propria divina distanza da noi, ma mostra al Padre, con infinita passione, quel «piccolo» tratto che vanta in comune con noi, cioè la propria umanità che si fa casa per tutti, senza «ma» e senza «se»: Gesù è, e lo sarà eternamente, «geloso» della propria incarnazione/condivisione che lo fa competente sull’uomo, e perciò empatico, affidabile. Somigliamo a Dio in quello che condividiamo nell’umano: incredibile!

 

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Data di aggiornamento: 19 Settembre 2019
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