Ribelliamoci alle cattive maniere
L’allenatore di calcio che fa un gestaccio ai tifosi della squadra avversaria; i deputati che, riuniti a Montecitorio, si insultano ogni tre per due. E ancora, lo studente che, spaparanzato in metropolitana, neanche si accorge dell’anziano in piedi davanti a lui. Dovunque ci giriamo la maleducazione lascia il segno. In famiglia e a lavoro, sui banchi di scuola e per strada. La percepiamo ancora, per fortuna. Spesso la critichiamo. Ma il più delle volte non alziamo un dito per contrastarla. «Il peggio – scrive Natalia Aspesi nella presentazione di L’arte delle buone maniere (Il Mulino) – è che alle pessime maniere ci stiamo abituando, anzi pare che se sei educato non piaci a nessuno. Ribelliamoci».
Dicono che chi ammette l’esistenza di un problema sia già a metà strada verso la sua soluzione. Se questo è vero, le ultime indagini in tema di cattive maniere fanno ben sperare. Già nel 2008 l’istituto Astra Ricerche – chiamato dal «Messaggero di sant’Antonio» a stilare un elenco dei principali vizi degli italiani – aveva incoronato al primo posto la maleducazione (segnalata dal 90 per cento dei settecento intervistati tra i 18 e i 79 anni). Otto anni dopo, il trend resta immutato. «Da una recente indagine svolta per la Casa della carità di Milano è emersa una grande insofferenza nei confronti delle cattive maniere – conferma Enrico Finzi, sociologo e presidente di Astra Ricerche –. Circa il 90 per cento degli intervistati lamenta un individualismo feroce e una tendenza alla micro-barbarie nei rapporti quotidiani».
Niente a che vedere, dunque, con la maleducazione osteggiata dal Galateo di monsignor Giovanni Della Casa nel XVI secolo. Parlare a bocca piena, tenere il cappello in chiesa o salutare una signora senza farle il baciamano non sono più priorità da estirpare. In ballo oggi non c’è solo il rispetto di un codice di comportamento, peraltro non ben definito e in continuo mutamento. A mancare, più che l’educazione, è il senso di civiltà. «La maleducazione coincide col non rispetto di se stessi e degli altri – continua Finzi –. È saltare la fila allo sportello e procedere sgomitando, senza guardare la gente negli occhi». Così, se in passato le cattive maniere andavano a braccetto con povertà e ignoranza, ora costituiscono un male trasversale che, a dispetto del conto corrente e del grado di istruzione, si trasmette come un virus. Lo sanno bene all’Università della Florida, dove un team di ricercatori ha da poco scoperto che chi sperimenta la maleducazione tende poi a riproporla nei confronti di terzi.
Dannosa dunque. E pure controproducente. Stando, infatti, a un’altra ricerca condotta da Amir Erez (professore di management al Warrington college di Gainesville, Florida) in collaborazione con Christine Porath (docente di business aziendale alla Georgetown University, Washington D.C., Usa), chi lavora in un ambiente ad alto tasso di inciviltà vede diminuire la propria creatività del 30 per cento. «La gentilezza è la catena d’oro con la quale la società viene tenuta insieme» scriveva il poeta e drammaturgo Johann Wolfgang von Goethe. Ora ne abbiamo le prove.
Alle origini dello sgarbo Indagare le origini delle buone e cattive maniere è un po’ come riflettere sulla storia dell’umanità: un’operazione sconfinata che segue gli andamenti delle civiltà e varia al variare dei tempi. Così, anche se i primi codici di comportamento sbocciano in seno alla vita di corte nella Francia del XII secolo, in realtà il concetto di educazione ha radici ben più lontane e complesse. «L’essere umano non nasce né buono né cattivo, né educato né maleducato – spiega Fulvio Scaparro, psicoterapeuta e autore di L’antispocchia. Come ho imparato a difendermi dagli arroganti (Bompiani) –. La cattiva abitudine si sviluppa quando l’ambiente in cui egli si trova non lo abitua a tener conto degli altri».
In questo senso il ruolo degli adulti – e in particolare dei genitori – diviene essenziale nel processo di civilizzazione delle nuove generazioni. «Nessun genitore può pretendere dal figlio ciò che egli stesso non insegna né esplicita» continua Scaparro. Occhio dunque alle cosiddette «ingiunzioni paradossali»: che senso ha schiaffeggiare il proprio bambino perché ha picchiato un compagno? E d’altra parte, come può una famiglia educare al bene i piccoli quando appena fuori di casa li attende una giungla di contraddizioni e scorrettezze? «A Tripoli c’è un detto – continua lo psicoterapeuta –: “Se la città è sporca tu comincia a pulire davanti alla tua porta”. Così dobbiamo fare anche noi: seguire una linea, andare contro corrente. Genitori, insegnanti, educatori. In un patto d’acciaio famiglia-scuola. Perché a quest’ultima non è affidata solo la trasmissione del sapere, ma anche della civiltà e del rispetto reciproco».
La maleducazione dunque si sconfigge facendo rete e non mollando mai davanti alle difficoltà. «Bisogna essere ostinati contro l’abuso e l’accumulo di indifferenza» conclude Scaparro. L’obiettivo finale è accendere i riflettori sul problema, un po’ come ha fatto di recente il Collegato ambientale approvato a dicembre dalla Camera dei deputati. All’articolo 40 il documento prevede sanzioni per chi abbandona nell’ambiente mozziconi di sigaretta, scontrini, fazzoletti e chewing gum. Viene da chiedersi come farà lo Stato a monitorare ogni cittadino ineducato del Paese. Ma il punto non è questo. La lotta alla maleducazione (per quanto parziale) è stata riconosciuta e dichiarata ufficialmente. Ora sta alla coscienza di tutti far fronte comune contro l’emergenza.
Regole auree Se la forma è importante, ancor più lo è il contenuto. Come sosteneva Erasmo da Rotterdam (De civitate morum puerilium, 1530), civiltà non è solo perfezione formale, ma anche e soprattutto crescita spirituale. E allora sorvoliamo la marea di galatei e manuali che sono stati scritti dal XVI secolo in poi – solo negli ultimi trent’anni Gabriella Turnaturi, autrice di Signore e signori d’Italia. Una storia delle buone maniere (Feltrinelli) ne ha contati oltre duecento! –.
A detta di Fulvio Scaparro sono solo tre le regole d’oro per potersi dire dei veri gentleman o gentlewoman: «Pensare sempre agli altri, trovarsi al posto giusto quando siamo necessari e sapersi mettere da parte quando invece non lo siamo». Già a metà Ottocento la vedeva così lord Henry Newman. Nel suo The idea of a university, il cardinale descriveva il gentiluomo come: «Colui che giammai procura afflizioni… evita accuratamente tutto quanto possa causare allo spirito di coloro con cui si intrattiene qualsivoglia intralcio o molestia... La sua maggior preoccupazione è mettere ciascuno a proprio agio. (Il gentiluomo, ndr) è disponibile verso tutti senza esclusioni... raramente cerca di primeggiare nella conversazione e in nessun caso si rende tedioso. Attribuisce scarsa importanza ai favori che concede e sembra ricevere quando elargisce». Un ideale di uomo che ben si sposa con i consigli evangelici indicati sul finire del Cinquecento da san Francesco di Sales nella sua lettera a Celso Benigno di Chantal (Lettere di amicizia spirituale): «Vi raccomando la dolce e sincera cortesia che non offende nessuno e cerca di essere utile a tutti, che cerca più l’amore che l’onore, che non si diverte a spese di nessuno, non urta e non umilia nessuno e così non è umiliata e, in compenso, è spesso esaltata molto onorevolmente».
Niente da obiettare al santo patrono dei giornalisti, noto ai più per i suoi modi dolci e rispettosi nei confronti di tutti. Ma una cortesia tanto perfetta oggi, agli occhi di una società sempre più individualista, rischia di sembrare fasulla. «Siamo arrivati al paradosso di additare chi è troppo educato come ipocrita» interviene ancora Fulvio Scaparro. Il dubbio tuttavia non sussiste, se le buone abitudini fanno realmente parte del nostro essere.
«I miei nonni dicevano che agire da persone cortesi non significa esserlo. Il vero educato è colui che lo è per natura e in modo coerente dentro e fuori casa, nell’ambito pubblico e nel privato» conclude lo psicoterapeuta, quasi a riprendere le parole pronunciate da papa Francesco nel giugno di tre anni fa. «Pensiamo bene oggi: qual è la nostra lingua? – si chiedeva il Pontefice durante un’omelia a Santa Marta –. Parliamo in verità, con amore, o parliamo un po’ con quel linguaggio sociale di essere educati, anche di dire cose belle, ma che non sentiamo? Che il nostro parlare sia evangelico, fratelli!». L’equazione è dunque completa. Le buone maniere stanno alla verità come la maleducazione sta all’ignoranza e alla falsità. «L’educazione è il pane dell’anima» scriveva nel 1860 Giuseppe Mazzini (Doveri dell’uomo). Ora più che mai dobbiamo esserne convinti. Perché puntare sull’educazione significa investire nel futuro. E in un Paese come il nostro, al nono posto nella lista delle nazioni più maleducate (indagine del 2012 svolta dal sito Skyscanner), questa è una sfida che noi, in quanto suoi abitanti e «figli», dobbiamo cogliere.
ZOOMLe buone maniere del cristiano Essere cristiani significa automaticamente conoscere le buone maniere? Qual è il nesso che collega la fede alla maleducazione? Ne abbiamo parlato con padre Giandomenico Mucci s.j., già professore di ecclesiologia e spiritualità a Benevento, Napoli e Roma, attualmente scrittore emerito per la rivista «La Civiltà Cattolica», dove si occupa delle relazioni tra Chiesa e cultura contemporanea.
Msa. Cosa sono le buone maniere per il cristiano?Mucci. Per un cristiano vero, che sia cioè tale non semplicemente sul piano sociologico ma per convinta adesione al Vangelo e alla Chiesa, le buone maniere si identificano con il comportamento evangelico, personale e sociale. A me sembra che il cristiano non debba particolarmente curare le buone maniere, come se queste, per lui, dovessero essere una qualità distinta e aggiunta al suo essere cristiano. Vivendo con coerenza e contro corrente lo stile evangelico, i cristiani contribuiscono nel modo più vero alla diffusione della buona educazione e al sempre laborioso superamento dell’ipocrisia nei rapporti sociali.
E che legame intercorre invece tra il fedele e la maleducazione? Un cristiano che non vive il comportamento evangelico è spesso anche maleducato. Oppure, è educato secondo lo stile «mondano» al quale spesso, purtroppo, il cristiano si adegua per formalismo o interesse personale, sdoppiando vita e fede.
Nel maggio 2013, durante una meditazione mattutina nella cappella della Domus sanctae Martae, papa Francesco ha invitato a non diventare «cristiani di buone maniere e di cattive abitudini». I media hanno poi parlato di «elogio dei maleducati». Cosa intendeva in realtà il Pontefice? Evidentemente, il Santo Padre, con quella sua espressione, non voleva affatto incoraggiare i maleducati, ma soltanto esortare il cristiano, affinché le sue buone maniere siano il riflesso della sua fede, ispiratrice di quella imitazione di Gesù che è maestra e parente della buona educazione.
Nella storia della Chiesa quali personaggi possono esserci d’ispirazione nella lotta alla maleducazione? Le Lettere dell’apostolo Paolo, il grande interprete di Cristo, contengono nella loro seconda parte l’elenco delle virtù che, osservate, fanno contemporaneamente un buon cristiano e una persona educata. Inoltre, nelle sue Confessioni, sant’Agostino racconta che, quando incontrò la prima volta sant’Ambrogio, il vescovo di Milano lo accolse episcopaliter. All’epoca, tali erano le buone maniere dei vescovi che accogliere uno «da vescovo» era diventato sinonimo di accoglienza cortese e gentile, senza supponenza e burbanza. Un altro modello di buone maniere è certamente san Francesco di Sales. Si leggano le sue Lettere.
LIBRI Natalia Aspesi (presentazione di),L’ARTE DELLE BUONE MANIERE Il Mulino, pagine 108, € 11,00 Fulvio Scaparro,L’ANTISPOCCHIA. Come ho imparato a difendermi dagli arroganti Bompiani, pagine 183, € 12,00 Giovanni Della Casa,GALATEO Einaudi, pagine 132, € 8,80 Gabriella Turnaturi,SIGNORE E SIGNORI D’ITALIA. Una storia delle buone maniere Feltrinelli, pagine 293, € 17,00