Elogio del corpo. Anche quando non sembra meritarselo…
Facciamo l’elogio del corpo. O, più esattamente, dei corpi: che ne esistono di tutti i tipi, e sarebbe una ben strana presunzione da parte nostra ritenere di poter decidere quali di essi meritino una passerella di moda e quali no. Quali siano quelli riusciti bene e quelli, come sentenziamo con fin troppa facilità, difettosi, è giudizio persino troppo arduo per le nostre limitate capacità di intendere. Anche se non di volere, visto che il nostro lo pretenderemmo sempre efficiente, inscalfibile dal tempo che passa, prono ai nostri desideri di apparire al top della forma.
Facciamo l’elogio dei nostri corpi. Per motivi neanche tanto misteriosi: perché senza un cervello collegato alla mia mano, e a un flusso ad alta velocità di impulsi elettrici sulle autostrade chilometriche dell’apparato nervoso, io neanche potrei scrivere quel che sto battendo sui tasti del computer. E voi, senza gli occhi ben piantati nel viso, neanche potreste leggerlo. E del resto altri corpi hanno stampato questa rivista, l’hanno spedita, ve l’hanno recapitata. Senza dimenticare che tutta questa malloppa di corpi, come neanche il raccordo di Roma è intasato all’ora di punta, non solo brucia energia («olio di gomito», diceva mio nonno), ma emozioni: che per noi sono impalpabili, ma appunto le dimoriamo di volta in volta nel cuore, nella pancia, alle ginocchia, sulle guance. Mentre i neuroscienziati ci forniscono indirizzi ancora più esatti per ognuna di loro, tutti dalle parti del cervello: non per rovinarci la poesia, ma per ribadire nuovamente ciò che già ben sperimentiamo, e cioè che è sempre un impasto di corpo e qualcos’altro, che i più chiamano anima.
Facciamo l’elogio dei nostri corpi, e della loro bellezza. Per questo li vezzeggiamo, addobbiamo, svecchiamo, e ci facciamo aiutare dalla medicina a curarli. E, a poterlo, facciamo bene a farlo. Ma senza scordarci che il bello è… dentro!
In che mani, callose e solcate da segni più eloquenti e leggibili di qualsiasi linea, ho a volte adagiato l’ostia consacrata, come Gesù Bambino nella mangiatoia di Betlemme! E le rughe! Quelle rughe tra le cui pieghe si nascondevano anni di passione, dono di sé, sofferenze, di tanti anziani a cui ho portato l’unzione degli infermi? Fantastiche storie in miniatura che aspettavano solo di essere sfogliate! E che dire degli abbracci disarticolati ed eccessivi dei miei amici disabili? Vorrei farne la scorta per i miei momenti di depressione!
E allora facciamo l’elogio di tutti i corpi. Che tutti sono degni di uno sguardo commosso di ammirazione. Perché ognuno di noi col proprio corpo ci fa ogni giorno i conti, senza più di tanto poterlo aggiornare né restituirlo usato per riaverne in cambio uno nuovo. Un corpo col quale lottiamo appena ci svegliamo, e taluni senza nemmeno aver avuto la grazia di una pausa notturna per tirare il fiato. Un corpo che a volte ci sta stretto, e altre è così largo che non sappiamo nemmeno più dove siamo. Un corpo che parte generalmente bene, tutti i meccanismi oleati e sincronizzati, ma strada facendo perde colpi e pezzi, finendo talvolta come un ammasso di ferraglia inutilizzabile. Che qualcuno deve accompagnare qua e là, anche in bagno.
Come se fosse giusto o fosse pensabile mostrarci con orgoglio solo nel pieno della nostra giovinezza, e dovessimo invece vergognarci del nostro corpo nel trascorrere delle stagioni! Non è forse il corpo il nostro compagno fedele? Non è con noi in ogni istante della nostra vita? È una benedizione, penso, avere una cosa così, poterla guardare e dire «ecco cosa abbiamo», invece di dire «ecco cosa non abbiamo».
Persino san Francesco, che pure non ne aveva avuta molta cura, alla domanda di un suo compagno: «Non è stato pronto il tuo corpo a obbedire ai tuoi ordini?», dovette ammetterlo: «Gli rendo testimonianza, figlio, che fu obbediente in tutto, in nulla si è risparmiato, ma si precipitava quasi di corsa a ogni comando. Non ha sfuggito alcuna fatica, non ha rifiutato alcun sacrificio, purché gli fosse possibile obbedire». Per concludere: «Rallegrati, frate corpo, e perdonami: ecco, ora sono pronto a soddisfare i tuoi desideri, mi accingo volentieri a dare ascolto ai tuoi lamenti!» (Vita seconda di Tommaso da Celano 211).
Facciamo l’elogio dei nostri corpi, perché sono il corpo di Gesù. «Entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, / un corpo invece mi hai preparato» (Eb 10,5): da che Dio ha ritenuto che per essere più Dio avrebbe dovuto incarnarsi e sperimentare il nostro corpo, ogni uomo e donna che vogliano tornare a Lui non possono che percorrere la medesima strada della nostra carne fragile e benedetta. Un corpo, il mio e quello degli altri, che ci è sempre donato da Dio: giacché mica lo abbiamo scelto in una boutique prima di venire al mondo; e al quale è rimasto attaccato, come sempre succede ai doni, un po’ del suo donatore: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio». Ma il cui valore è da pezzo di sartoria unico: «Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6,19-20).
Per aiutarci a rifare gli elogi dei nostri corpi, le tradizionali pagine di catechesi che il «Messaggero di sant’Antonio» dedica a un tema definito, per quest’anno affronteranno proprio il tema del corpo. Annessi e connessi, gioie e dolori, evidenze e contraddizioni. Giacché l’uomo da sempre fa uso di «protesi» che gli permettono di vivere meglio: dalla lancia con punta di selce per cacciare il mammut, invece di farlo a mani nude, al microfono del concerto rock, che almeno permette di non perdere la voce sgolandosi per il delirio dei fan. Al – e siamo ai tribolati e incasinati giorni nostri – computer e alla realtà virtuale tutta: come cambia la percezione del nostro corpo e di quello degli altri? Che fine fa la corporeità se tutto transita attraverso bit elettrici e onde magnetiche?
Alcuni autori ci aiuteranno mese per mese a riflettere su tutto ciò, senza pretesa di soluzioni ma per il gusto, e il dovere, di farsi domande intelligenti (caso mai speriamo che le nostre risposte lo siano altrettanto): don Paolo Tomatis, sacerdote che sul tema della corporeità ha riflettuto molto, Nicole Janigro, psicoterapeuta, don Lorenzo Voltolin, parroco ed esperto di nuovi media, e Gilberto Borghi, insegnante di religione in una scuola superiore e pedagogista.
Approcci diversi per aiutare genitori, parroci, catechisti, insegnanti ed educatori a «ripercorrere» con sguardo di fede il nostro favoloso corpo: dal volto ai piedi, senza saltare nulla nel framezzo!