Arche e cenotafi, la memoria scolpita

La Basilica è stata scelta in passato come luogo di sepoltura per talune famiglie e personaggi noti. E così tombe e monumenti funebri tappezzano le pareti del Santuario. Non sempre capolavori, sono comunque espressioni di un’epoca.
14 Febbraio 2016 | di

«Anche la Speme, / ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve / tutte cose l’obblio nella sua notte». La metteva giù così, cupa e amara, Ugo Foscolo, nella sua celebre ode Dei sepolcri. Diversi gli orizzonti evocati dalla scarna parola latina scolpita sui frontoni di molti cimiteri: resurrecturis, a coloro che sono in attesa della risurrezione assicurata da Cristo, perché il nostro «non è il Dio dei morti, ma dei viventi» (Mt 22,32). Detta così, i sepolcri diventano allora luoghi su cui aleggia confortante la Speme, la speranza. Fisicamente essi possono essere i più diversi: tombe carezzate dall’ombra dei cipressi, urne infisse sulle pareti di un tempio sacro o altri ancora. I più, poi, inevitabilmente «involti» con tutte le cose nella notte dell’oblio. Sempre vivi, però, nell’amorevole e sconfinata memoria di Dio Padre.

Anche la Basilica, edificata proprio per accogliere la tomba di un santo amatissimo, Antonio, è stata scelta, da chi se lo poteva permettere, come luogo di sepoltura per sé o per i famigliari. Diversi i motivi. Il meno onorevole, quello di marcare con un’arca sontuosa nel celebrato Santuario il prestigio e la potenza personale o del proprio casato. Più consona al luogo, la volontà di giovarsi delle preghiere dei pellegrini e di attendere la risurrezione finale accanto al sepolcro di un Santo tanto amato da Dio, ottimo avvocato in caso di bisogno. E così, tombe, cenotafi (monumenti sepolcrali che ricordano persone sepolte in altro luogo, ndr), monumenti, più o meno pomposamente bardati, tappezzano le pareti della Basilica e dei chiostri che la fiancheggiano. C’è chi li ritiene elementi ingombranti, brutti ed estranei alla logica architettonica del Santuario. È vero, tutti bellissimi non sono, ma rappresentano ciascuno lo stile e il pensare del tempo che li ha voluti, ed evocano momenti della storia della città.

Il più antico e il più bello Il più antico è il sarcofago di Guido da Lozzo (morto nel 1295)e della moglieCostanza d’Este (1287); composti da plutei di marmo greco del X secolo, qui riportati. Condividono l’attesa (novissimam diem expectantes, si legge in alcune lastre tombali) con il nipotino di Ludovico Ariosto, Giulio (1553), tumulato nel deposito collocato sull’urna. Il più bello, a detta degli esperti, è il monumento al cardinale Pietro Bembo (1470-1547), principe della Chiesa e protagonista della vita letteraria del Rinascimento. Splendida nella sua classica eleganza, l’opera porta la firma prestigiosa di Andrea Palladio, l’architetto che ha creato alcune tra le più belle ville venete. Dello scultore Danese Cattaneo è il busto marmoreo del porporato, opera di pregevolissima fattura.

Testimoni della cultura Padova è da sempre città di cultura, animata da un’università d’eccellenza con docenti che hanno segnato la storia del sapere in medicina, diritto e filosofia. Alcuni di loro hanno trovato sepoltura sotto le cupole della Basilica.

Tra questi, alcuni religiosi francescani, come padre Antonio Trombetta (1436-1517), acuto studioso e docente di teo­logia e filosofia all’università patavina. Il suo monumento funebre è posto di fronte all’altare della Madonna del pilastro. Il busto che lo ritrae è di Andrea Briosco (1522), tra i migliori bronzisti del suo tempo. Un successivo monumento celebra la memoria di un altro religioso, padre Simone Ardeo, anche lui dal 1517 docente nell’ateneo della città. Hanno qui il loro mausoleo pure due docenti laici dell’università patavina, ambedue insigni giuristi: l’aretino Antonio Roselli (1381-1466), deposto in una superba arca ideata per lui da Pietro Lombardo, eccellente scultore, attivissimo in Basilica. E il piacentino Raffaele Fulgosio (1367-1427), che fu tra l’altro rappresentante di Venezia al concilio di Costanza. Il suo mausoleo ha due prospetti, per cui la statua del giurista è riprodotta due volte, ovviamente tra i suoi amati volumi di diritto, in compagnia di statuine delle virtù che si presuppone lui abbia esercitato con vigore. Solo un busto invece, inserito in una nicchia ovale e scolpito da Giovanni Bonazza, per Elena Cornaro Piscopia (1646-1684), nonostante sia stata la prima donna al mondo a laurearsi (in filosofia).

Echi di lontane battaglie Evoca scenari corruschi di infiammate battaglie il dirimpettaio e imponente mausoleo all’ammiraglio veneziano Alessandro Contarini (1486-1553), alla cui realizzazione hanno collaborato fior di architetti. Danese Cattaneo è autore del busto marmoreo dell’uomo di mare, le cui imprese sono evocate da una flotta di velieri con le vele gonfiate dal vento e da uno sbandierare di trofei militari, incisi in rilievo sulla base.

Echi di guerra, anzi di una guerra, quella di Candia contro i Turchi (1669), evoca altresì il monumento al valoroso condottiero della Repubblica Serenissima, Caterino Corner, che nella difesa dell’isola perse la vita. In pomposo stile barocco, il monumento poggia sul dorso di due robusti schiavi, sopra i quali si erge impettito l’energico generale che regge il bastone del comando, tra due prigionieri incatenati e, alle spalle, una selva di vessilli, mazze, corazze e armi da guerra. Un altro celebre condottiero al soldo di Venezia, Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, ha voluto essere sepolto in Basilica. Riposa, assieme al figlio Giannantonio, nella Cappella ora detta del Santissimo, fatta edificare appositamente dalla vedova Giacoma Boccarini di Leonessa.

Anche cronaca Sono ancora molti i sepolcri e i monumenti disseminati nel complesso basilicale antoniano, alcuni assai belli, come l’arca di Bonzanello e Niccolò da Vigonza (XIV secolo), sulla parete sinistra dell’androne che dal chiostro della magnolia immette nella Basilica, impreziosita da un sovrastante affresco di Giusto de’ Menabuoi, L’incoronazione della Vergine. Tutti con nomi di famiglie illustrissime, di studiosi e di eccellentissimi uomini di Chiesa che hanno fatto, nel bene e nel male, la storia della città, e coltivato l’amicizia con il Santo e la sua Basilica. Impossibile rendere conto di tutti. Ricordiamo, a mo’ d’esempio, il bel sarcofago in marmo rosso della famiglia Rogati-Negri (metà sec. XIV), sul cui coperchio, tra aquile araldiche, è raffigurato un gentiluomo a cavallo. Il sarcofago, posato su un altro avello più antico e semisepolto, è infisso su una parete della Cappella della Madonna Mora, della quale la famiglia ebbe a lungo il giuspatronato, ceduto poi ai marchesi Obizzi che hanno la sepoltura in mezzo al pavimento della stessa Cappella.

Grandi nomi e grandi eventi, ma anche vicende di quotidiana cronaca, come quella di cui è stata protagonista Lucrezia Dondi, generalmente descritta come «vittima di (in)fedeltà coniugale» (1654), e quel nipotino di Ariosto più sopra ricordato.    

ZOOMMisericordia è seppellire i morti

  «Seppellire i morti» è opera di misericordia che la pietà cristiana ha ereditato dalla sensibilità veterotestamentaria, tanto che, in Israele, l’essere privati della sepoltura era considerato orribile destino, usato come minaccia per intimorire gli empi.

Emblematica, nel libro di Tobia, la confessione dello stesso protagonista, Tobia: «Facevo spesso l’elemosina, donavo il pane agli affamati e gli abiti agli ignudi e, se vedevo qualcuno dei miei connazionali morto e gettato dietro le mura di Ninive, io lo seppellivo. Seppellii anche quelli che aveva ucciso Sennacherib» (Tb 1,16-17). Praticamente, un sintetico elenco di opere di misericordia, sepoltura dei morti compresa, gradite a Dio, come conferma l’angelo Raffaele a Tobi, padre di Tobia: «È motivo di onore manifestare le opere di Dio. Quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l’attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così anche quando tu seppellivi i morti» (Tb 12,11-12).

I cristiani hanno sempre onorato i defunti custodendo con rispetto le loro tombe, specialmente quelle dei martiri e dei santi, scavate persino nelle catacombe, trasformate in luoghi di preghiera, prima che l’editto di Costantino del 313 instaurasse la libertà di culto. Le tombe dei santi sono diventate santuari e luoghi di pellegrinaggio, come accade alla Basilica, che custodisce le spoglie mortali di sant’Antonio, accanto al quale qualcuno ha voluto essere sepolto. Un «privilegio» consentito a pochi per un’effimera stagione di gloria, cancellata dal tempo, inesorabile nel restituire a tutti parità di oblio.

Sant’Antonio, in tema di sepolcri e tombe esprime così il suo originale pensiero: «Fa’ attenzione alle singole parole. Il sepolcro, detto in latino monumentum, monumento, perché ammonisce la mente a ricordarsi del defunto, sta a significare il pensiero della nostra morte, il pensiero della nostra sepoltura: e questi pensieri ci esortano a dolerci nella nostra mente e a persistere nelle opere di penitenza» (Sermone pasquale I, 3).

Salutare ammonimento sono anche le raffigurazioni simboliche scolpite in alcune arche funerarie del complesso della Basilica antoniana: vedi, ad esempio, quelle dei Bebi, che si incontra poco dopo l’ingresso nel chiostro del Capitolo (o della Magnolia), e dell’arca degli Alvarotti, giureconsulti (fine ’300), nella cappella austro-ungarica. La fronte dei due sarcofaghi è quasi identica, e gli emblemi in essi rappresentati sono tipicamente cristiani: al centro l’Agnello, simbolo del Redentore, dal quale scaturiscono ruscelli, ossia i sacramenti; gli altri due agnelli raffigurati significano la mansuetudine e la palma indica la santità che porta a salvezza.

Nei fastosi monumenti funebri della Basilica sembra prevalere l’ostentazione della gloria mondana, simboleggiata da codici, libri, strumenti delle scienze e delle arti nelle quali hanno primeggiato, che a noi dicono gran poco.

Suggestivi e più intonati al luogo sacro sono invece i richiami alla fede cristiana e alla considerazione che, in questa cornice, devono avere per il pellegrino sia la morte che la sepoltura e l’opera di misericordia che ne consegue.

FEBBRAIOIn Basilica

  • Domenica 7 (Giornata per la Vita) alle ore 11.00: Santa Messa e benedizione delle coppie che desiderano avere figli e di quelle in attesa.
  • Giovedì 11 (Giornata del Malato) alle ore 16.00 Santa Messa per i malati.
  • Domenica 14 (Festa della lingua): ore 10.00, Santa Messa per gli associati al «Messaggero di sant’Antonio» presieduta da fra Giancarlo Zamengo, Direttore generale; ore 11.00, Santa Messa presieduta da monsignor Giovanni Tonucci, Delegato pontificio per la Basilica; ore 17.00, Santa Messa solenne presieduta da fra Giovanni Voltan, Ministro provinciale, cui seguirà la processione interna alla Basilica con la reliquia del mento di sant’Antonio.
  • Martedì 16, ore 11.00 circa arrivo dell’urna di san Leopoldo Mandić, proveniente da Roma e Loreto. L’urna sarà esposta alla venerazione dei fedeli in Basilica.
  • Mercoledì 17, ore 15.00, canto dell’Ora nona. A seguire processione di accompagnamento dell’urna di san Leopoldo Mandić al Santuario di piazzale Santa Croce.

Infowww.basilicadelsanto.org  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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