Rulli Frulli, il ritmo di un sogno
Le vecchie pentole di smalto – quelle che nessuno vuole più – suonano meglio di tutte le altre. E un pezzo di grondaia, recuperato da una casa distrutta dal terremoto, può trasformarsi in una chitarra insolita e straordinaria. Al quartier generale della banda Rulli Frulli a Finale Emilia, nella Bassa modenese, si dà una nuova vita agli oggetti dimenticati o scartati. Ma soprattutto si offre una possibilità alle persone, ai ragazzi che rischierebbero di trovarsi ai margini perché non hanno le stesse abilità dei loro coetanei, o magari arrivano da altri Paesi, altre culture, altri orizzonti.
«A noi piace fare della diversità un valore», confida Federico Alberghini, 37 anni, fondatore e direttore del gruppo musicale che in breve tempo è divenuto un faro in Italia. Nati nel 2010 con un manipolo di ragazzini che studiavano batteria alla scuola della Fondazione Andreoli (e con tre secchi di latta raccattati all’isola ecologica), i Rulli Frulli oggi sono in settanta, dai 12 ai 30 anni, e tra loro una ventina di ragazzi diversamente abili. La musica li ha uniti anche (e soprattutto) quando, nel 2012, il terremoto è venuto a scuotere i muri e gli animi: «Proprio in quei giorni siamo cresciuti tantissimo – ricorda Federico –. La terra tremava e tanti ragazzi erano disorientati, impauriti, non sapevano dove andare. Mani Tese ci ha messo a disposizione uno spazio sicuro e noi abbiamo continuato a suonare, a fare gruppo. Siamo diventati praticamente una piccola comunità».
Nel capannone circondato da campi di grano e frutteti, i Rulli Frulli realizzano i loro strumenti con materiali di recupero e poi li suonano, tutti insieme. Non sono la tradizionale banda con gli ottoni lucidi e splendenti, anzi... A essere regine, qui, sono le percussioni, quasi per far sentire ancora più forte il ritmo di un sogno: i ragazzi battono con energia su cestelli di lavatrici che ora sono tamburi, si destreggiano su xilofoni di piastrelle in ceramica, fanno tintinnare padelle, coperchi e casseruole appese a una grata, come a un muro del suono.
«Così è possibile esaltare l’unicità di ciascuno e andare oltre qualsiasi distinzione», spiega ancora Alberghini che, con Marco Golinelli, Sara Setti e Federico Bocchi, è il motore del progetto. Già tre anni fa i Rulli Frulli hanno aperto il concerto del Primo Maggio a Roma, poi nel 2017 hanno accolto papa Francesco nella sua visita alle zone dell’Emilia colpite dal sisma del 2012, e l’anno scorso lo hanno ritrovato sul palco del Circo Massimo di Roma per il Sinodo dei Giovani. Hanno inciso cinque album collaborando con artisti di fama – come Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione e la cantautrice Cristina Donà –, hanno partecipato al Festival Biblico di Vicenza e alle selezioni di Sanremo Giovani, hanno conquistato Mika in tv su Rai2, Jovanotti e tanti big. Ma soprattutto hanno fatto scuola: il loro «metodo» ha cominciato a girare l’Italia, raggiungendo luoghi dove la musica può diventare risorsa, riscatto, risurrezione.
I Rulli Frulli si definiscono «marinai», e nei loro concerti indossano l’inconfondibile maglietta a righe: navigano verso quell’integrazione che dovrebbe essere il porto di ogni società civile. «Nel gruppo ogni ragazzo ha il suo spazio. Non ci sono spartiti, eppure ognuno sa di avere una sua mansione», chiosa Federico Alberghini. Quando arriva un nuovo componente della «ciurma», e magari è un ragazzo con qualche difficoltà, non c’è bisogno di dare spiegazioni: è sufficiente fare musica. Diventerà del tutto naturale mettersi in relazione, superare le barriere, capirsi.
«La magia dei Rulli Frulli è proprio questa – aggiunge il direttore –. È un insieme in cui tutti siamo diversi, e la diversità di ciascuno è un valore. Ed è una bella terapia». Tutti uguali e differenti, nessuno escluso. «Da noi non esiste la frase “lui non lo sa fare”, anzi, il nostro motto è che nessuno deve essere lasciato indietro», sorride Federico, e ricorda con simpatia le parole che una ragazzina ha detto al papà, tornando a casa dopo la prima giornata trascorsa con la banda: «Sai? Secondo me i Rulli Frulli non si sono accorti che sono di colore...».
«Molti ragazzi hanno iniziato a esprimersi meglio, hanno acquisito una rinnovata autostima e fiducia in se stessi e oggi ottengono migliori risultati a scuola – ammette il direttore –. Anche per i genitori, che collaborano alle varie attività, questa esperienza è fondamentale».
L’Università Cattolica sta «esplorando» i Rulli Frulli, e uno studio sarà pubblicato in occasione del decennale della banda.
Intanto Federico Alberghini e i suoi collaboratori hanno esportato la «formula» anche in altre realtà. Per esempio a Reggio Emilia, dove con il progetto «Marinai» si sono rivolti soprattutto ai giovani migranti arrivati in Italia con un carico di sofferenza e di incertezze. Ragazzi come Baki, che oggi fa il gommista e suona le percussioni, o Sadou, dalla Guinea, che frequenta una scuola di termoidraulica e nella musica ritrova le sue radici: «Non finirò mai di ringraziare l’Italia», dice con gli occhi lucidi. Lui e i suoi amici oggi non sono più naufraghi, ma insieme viaggiano con gioia. «Questi giovani hanno il ritmo nelle vene – dicono i Rulli Frulli –. Quando li abbiamo incontrati la prima volta sembravano intimoriti ma, appena abbiamo iniziato a suonare, nessuno li teneva più».
Ha chiamato i Rulli Frulli anche don Paolo Steffano, che a Baranzate (Milano) è parroco del chilometro quadrato più multietnico d’Italia, riunendo persone di settantadue Paesi: tra le tante attività ideate dal vulcanico sacerdote per coinvolgere ragazzi e famiglie, oggi c’è anche la scatenatissima Banda del Quartiere di Baranzate. «Alla base c’è un principio: quello che costruisco non distruggo – ha spiegato don Paolo –. Non mi sento dentro il quartiere o dentro la scuola? Provo a sentirmi dentro la banda».
Anche loro sono arrivati a Finale, qualche settimana fa, per i Rulli Frulli Days, il festival che ha riunito vari gruppi che in Italia fanno dell’integrazione una bandiera (e una bella realtà), come la MaTeMusik Band, nata dal Cies di Roma, uno spazio di libertà creativa per ragazzi che provengono da tutto il mondo, «un incrocio di idee e di futuri possibili», o l’orchestra AllegroModerato InBand di Milano, fiorita presso l’omonimo centro di formazione musicale e artistica per la disabilità: «“In” sta per integrazione, invenzione, interplay. È bello essere “In”», dicono i responsabili. E ancora i giovani musicisti del penitenziario minorile di Airola (Benevento), che hanno trovato un «maestro» d’eccezione nel rapper Lucariello.
È come un grande spartito, dove i valori dell’accoglienza, del rispetto e dell’inclusione diventano note e armonia. «Questo è il mondo che vorrei», conclude Federico Alberghini. Lo vorremmo tutti.