Sano come un ultracentenario
Più si invecchia più in genere aumentano le probabilità di ricevere una diagnosi di malattie di cuore, tumori, demenze. Ma arriva un punto in cui la curva cambia direzione e il rischio non aumenta più, anzi diminuisce: chi arriva a 100 anni ha minori probabilità di sviluppare un infarto, l’Alzheimer o di morire di cancro.
Molti centenari stupiscono per le buone condizioni mentali e di salute. E chi muore oltre i 105 anni spesso si addormenta senza accorgersene o solo dopo pochi giorni dal peggioramento delle condizioni.
Sulla questione gli scienziati si arrovellano da tempo. Significa che, superata la fase critica, ci sono meno minacce alla salute o che le stesse condizioni che tengono alla larga le malattie croniche più comuni facilitano il raggiungimento di compleanni record?
Questa seconda ipotesi gode di maggior fortuna, ma apre anche altre domande: riuscire a passare indenni l’età dei primi acciacchi per arrivare in ottima forma a spegnere cento candeline è questione di geni o di stili di vita? È un dono che ci arriva in eredità dai nostri genitori o un risultato da conquistare con le nostre scelte? Probabilmente entrambe le cose, anche se i ricercatori si dividono tra chi dà maggior peso alle caratteristiche genetiche e chi all’ambiente (dall’inquinamento di aria e acqua al livello di stress lavorativo, dall’alimentazione alle consuetudini di una popolazione), ma anche alle scelte individuali, come quella di fumare.
Una componente ereditaria probabilmente c’è: un’alta aspettativa di vita spesso si ritrova in diversi membri della stessa famiglia. Dal punto di vista biologico, l’invecchiamento va di pari passo con un accorciamento delle estremità dei cromosomi, i bastoncini formati dal Dna arrotolato che, nel nucleo delle cellule, contengono le nostre informazioni genetiche. L’accorciamento di tali estremità, dette «telomeri», come una bomba a orologeria segna il tempo rimasto alla cellula e, a un livello superiore, all’individuo.
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