Sant’Antonio del Porto

Ogni anno, a Palinuro, in Campania, una processione in mare ricorda quanto avvenuto il 25 settembre 1949, quando, per intercessione del Santo, due pescatori vennero miracolosamente tratti in salvo nel corso di una tempesta.
12 Aprile 2021 | di

Ci sono scorci di questa nostra Italia che lasciano letteralmente senza fiato. È il caso del Cilento, nel sud della Campania, una zona che pare baciata da Dio, tanto è bella. Qui incontriamo, in prossimità dell’omonimo Capo, la cittadina di Palinuro, frazione del comune di Centola in provincia di Salerno, che deve il suo nome, secondo la leggenda riportata da Virgilio nel V canto dell’Eneide, all’omonimo nocchiero di Enea, caduto in acqua in questo braccio di mare a causa del sonno. La leggenda tenta in realtà di spiegare una delle caratteristiche del luogo: questo alto tratto di costa a strapiombo sul mare non offre infatti facili punti di approdo, quando le condizioni meteorologiche avverse lo richiederebbero, lasciando così i naviganti alla mercé delle burrasche. 

Una luce nel buio

E proprio al mare è legata la vicenda che ha portato sant’Antonio a essere particolarmente venerato anche in questa zona, tanto che ancora oggi, a settembre, si celebra ogni anno la festa di Sant’Antonio del Porto. Ma facciamo un passo indietro. È il 1949, per l’esattezza il 25 settembre. Il mare è calmo. I pescatori escono con le loro barche. Ma, all’improvviso... 
A narrare il seguito della vicenda è Artemio Belonoskin – figlio di Giacomo detto «u’ russo», uno dei protagonisti di quella giornata – che, nell’aprile del 2012, ha affidato il racconto tante volte ascoltato dal padre alle pagine del volume Palinuro: racconti di gente di mare, curato da Maria Luisa Amendola ed Ezio Martuscelli (pubblicato dall’Associazione progetto Centola). Giacomo Belonoskin, approdato a Palinuro dopo una vita avventurosa, era, nel 1949, motorista del San Pietro, «un barcone dalla prua alta e superba e dotato di un potente motore diesel» che gli consentì di affrontare quella tempesta rimasta nella storia dei palinuresi. 

«Al mattino di quel 25 settembre – esordisce Artemio – il tempo era bello, per cui molti pescatori, proprietari di barche a remi, si spinsero al largo, per la pesca del pesce spada. Nulla faceva prevedere che nel pomeriggio si sarebbe scatenato l’inferno! Verso le ore 15 il cielo improvvisamente si rabbuiò, il vento prese a soffiare dal nord e le onde del mare si sollevarono, spumeggiando senza sosta. Lampi e tuoni si impadronirono dell’aria. Le barche che erano al largo di Capo Palinuro non si videro più: furono ore di panico! Molti palinuresi scesero sulla spiaggia del porto, insieme ai familiari dei pescatori che non erano riusciti a raggiungere la riva. Era quasi buio e una barca con a bordo due uomini non era ancora rientrata. Erano Mauro Pepoli “Ciucculatera” e Salvatore Del Gaudio “u’ zitu”. Sacco Amodio si recò dai proprietari del San Pietro e chiese il permesso di uscire nella tempesta, con il loro motopeschereccio, sperando di ritrovare la barca dispersa. Nicola Amendola (proprietario del San Pietro, ndr) disse che valeva la pena di rischiare la barca, per salvare delle vite umane, purché Giacomo, il motorista, fosse disposto a farlo. Giacomo era già pronto: aspettava solo il consenso dei padroni; quindi fece tirare gli ormeggi e partì dal porto, beccheggiando terribilmente sulle onde. Il San Pietro scomparve dietro la punta di Capo Palinuro, mentre i familiari e gli amici dei pescatori dispersi si riversarono nella Cappella di Sant’Antonio, che si trova sulla spiaggia. Cominciarono a tirare ininterrottamente la corda della campana, al cui suono si unì il pianto disperato delle madri e delle mogli». Fu allora che accadde l’inspiegabile. 

È ancora Artemio, il figlio di Giacomo Belonoskin, a riportare il racconto del padre: «Affacciatosi dalla zona sottocoperta, dove era il motore, Giacomo vide in quel buio una luce occhieggiare sul mare in tempesta e gridò ad Amodio di raddrizzare il San Pietro nella direzione in cui aveva visto il segnale luminoso. Amodio ruotò il timone nella direzione indicatagli, e Giacomo spinse al massimo il motore. Chiamarono, gridarono il più forte possibile, sfidando gli spruzzi violenti dell’acqua, nella speranza di ritrovare i dispersi. La rotta indicata da Giacomo e seguita da Amodio, nelle tenebre, senza alcun mezzo di orientamento, li portò alla meta. Incontrarono i pescatori dispersi che, perduti i remi, stremati dalla violenza del mare, si reggevano a stento nella barca piena d’acqua. Giacomo, appena li vide, esclamò: “Meno male che avete acceso quella luce, altrimenti non vi avremmo trovati”. Mauro Pepoli rispose: “Ma di quale luce parli? Di quale segnale? Noi non abbiamo niente. Siamo bagnati dalla testa ai piedi; non potevamo accendere nulla, anche se avessimo avuto qualcosa per farlo”. Tirati a bordo i due naufraghi, con non poca difficoltà, il San Pietro puntò verso il faro di Palinuro, unico segnale che si poteva seguire in quella notte di tempesta. Raggiunto il porto e raccontato l’accaduto, si gridò al miracolo ottenuto per intercessione di sant’Antonio». 

Secondo il racconto di altri presenti, mentre il San Pietro era impegnato nel salvataggio, la statua del Santo custodita nella Cappellina a lui dedicata (che risale alla seconda metà del XVI secolo) venne portata sulla spiaggia e rivolta verso il mare. E ancora oggi, nei tre giorni della festa di Sant’Antonio del Porto, a fine settembre, la stessa statua viene portata in processione fino alla spiaggia e poi, caricata su una barca scortata da decine di natanti, fino al luogo del salvataggio miracoloso.

 

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Data di aggiornamento: 12 Aprile 2021
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