Il neonato salvato dal Santo, oggi nonno
Può un dipinto… dipingersi da solo? O un affresco colorarsi di pennellate senza che mano umana ne abbia deciso i contorni, il tratteggio, le tonalità?
Accade quando ci troviamo di fronte a immagini e oggetti sacri acheropiti dei quali, detta in parole povere, l’uomo non è in alcun modo artefice. Opere che si sarebbero create da sole grazie all’intervento divino e che, secondo la tradizione, risulterebbero miracolose proprio come la loro origine.
Un pittore incredibile le ha volute e ispirate perché dicessero qualcosa al mondo. E perché, a loro, uomini e donne si rivolgessero con fede. Sono tante le immagini famose, ma molte di più sono quelle che, lontano dai riflettori, vivono grazie alla devozione e alla pietà popolari.
A San Marco Argentano, nelle colline della Valle dei Crati (CS), si trova un affresco acheropita. Vi è raffigurato sant’Antonio. Il dipinto, ora protetto da un vetro, è custodito nella chiesa della Riforma. Da secoli la gente si raccoglie in preghiera davanti all’immagine. Vi appoggia sopra le mani chiedendo intercessioni e grazie.
Capitò anche un dicembre di tanti anni fa. Era il 1944. In una mattina sferzata dalla guerra e dal gelo, una donna ci appoggiò sopra il suo bambino. Non aveva ancora un anno. Poco prima i medici che lo avevano visitato non le avevano dato speranze: «Per lui, non c’è più nulla da fare».
La contadina era tornata a casa. Aveva stretto a sé il suo piccolo e si era precipitata di corsa verso la chiesa dei frati. A sant’Antonio affidò il figlioletto che aveva chiamato Antonio proprio per la devozione che, da sempre, univa lei e la sua famiglia al Santo. Nel giro di poche ore il bambino guarì. Tutti conoscono questo fatto a San Marco Argentano. Anche Antonio Turano, il neonato protagonista della guarigione, divenuto poi padre e nonno, al quale mamma Maria Raffaella e papà Pasquale raccontarono questa storia fino in punto di morte. Oggi, a restituircela, è lui stesso.
«Sant’Antonio, ti affido mio figlio» «Sono nato nel gennaio del 1944 – racconta Turano –. I miei genitori scelsero il nome di Antonio per la grande devozione al Santo che, si dice, passò di qui dopo aver fatto tappa a Pizzo Calabro risalendo dalla Sicilia e attraversando la Sila. Mamma e papà mi raccontarono l’accaduto proprio di fronte all’affresco acheropita di sant’Antonio custodito nella chiesa del convento francescano della Riforma.
Era la fine di dicembre. Io avevo undici mesi. Da giorni stavo male. Non mangiavo, non rispondevo, tenevo la testa sempre china, mi raccontò la mamma appena fui più grandicello. Il colorito si era fatto giallastro. Mi fecero visitare subito, ma la situazione non migliorava. All’epoca non c’erano cure o farmaci per malattie come l’itterizia che spesso portavano alla morte.
Durante l’ultimo confronto con i medici, questi dissero a mia mamma che per me non c’era più nulla da fare. Disperata ella corse a casa. Mi avvolse in una coperta e mi portò al convento. Qui si imbatté in fra Gregorio Sica, allora guardiano del convento. Dopo averla ascoltata, il frate le disse di avvicinarmi all’immagine, rassicurandola sull’intercessione del Santo.
Lei, allora, mi appoggiò sull’affresco rivolgendo queste parole: “Sant’Antonio, ti affido mio figlio Antonio. Ora è nelle tue mani”. Uscita dalla chiesa, si avviò verso casa. La nostra abitazione, in piena campagna, si trovava a circa sette chilometri da San Marco Argentano.
La sorpresa, come mi raccontava sempre, fu nel vedere che, dopo aver percorso circa tre chilometri, improvvisamente alzai la testa e la guardai. Il colorito da giallastro era già diventato roseo. Il giorno dopo iniziai a mangiare. Oggi ho una moglie, Wanda, e due figli Pasquale e Maria Gabriella e sono qui a raccontare la storia di un miracolo».
«Ciò che desideri, ecco tieni» Antonio Turano e la sua famiglia si recano sempre nella chiesa della Riforma a ringraziare il Santo. Si fermano in silenzio davanti a quell’immagine che raffigura sant’Antonio con il libro in mano, e il giglio, ma senza Bambino in braccio. Un dato non di poco conto, visto che il Santo inizia a essere raffigurato con il Bambino in braccio solo a partire da una certa epoca e l’affresco potrebbe, dunque, risalire a un periodo antecedente.
Fino agli inizi del ’900 si potevano leggere, ai piedi dell’affresco, queste parole in latino che documentano il passaggio del Santo: «Dirigendosi verso luoghi barbari, con la nave ormai sconquassata per il mare tempestoso, tocca le pie spiagge della Trinacria. Passando da qui, come un Pittore, e tutta la città seppe di queste cose, dipinse e disse: “Salve città, ciò che desideri, ecco tieni”».
Il passaggio a San Marco Argentano è attestato dalle fonti agiografiche antoniane. Due su tutte: la Vita Secunda di fra Giuliano da Spira e l’opera di Luca Vadingo. San Marco Argentano fu la seconda tappa calabrese, nella risalita dalla Sicilia. Il Santo sarebbe arrivato nel borgo, di origine normanna, attraversando la Sila.
Il legame tra sant’Antonio e questo paese è sempre stato forte. Il tempo non ha fatto altro che rinsaldare la devozione antoniana, come raccontano in paese.
A settembre, nel pellegrinaggio tra Campania e Calabria, le Reliquie, portate da fra Egidio Canil della Basilica del Santo, hanno fatto tappa, in Calabria, a Corigliano Calabro e proprio a San Marco Argentano. Da questi luoghi passerà anche il Cammino di Sant’Antonio.