Sant’Antonio, speranza certa per il Pakistan
Shine è uno splendido bambino di un anno e mezzo. Si aggira sornione per le navate della chiesa di Sant’Antonio a Lahore, la città più importante del Pakistan, dispensando sorrisi. La comunità è riunita per la veglia di preghiera e la Messa che il vulcanico parroco don Jahanzeb Iqbal celebra ogni martedì, in onore del Santo di Padova, patrono della parrocchia e venerato in modo speciale dai fedeli.
È un momento solenne. La preghiera sale al cielo vibrante tra canti, silenzi e invocazioni. La madre di Shine, Shakila, porge ai fedeli che gremiscono la chiesa – uomini e donne, famiglie, giovani e anziani – la sua testimonianza di fede: per nove mesi ha pregato con ardore, chiedendo l’intercessione di sant’Antonio perché lei e suo marito avessero il dono di un figlio che tardava ad arrivare. Per nove mesi, animata da una «speranza certa», ha partecipato alla preghiera antoniana del martedì, fulcro della vita comunitaria, invocando senza sosta una grazia «a quel Dio che ha promesso: bussate e vi sarà aperto».
Oggi Shine è quel «miracolo di Dio» tanto atteso, è il dono ricevuto grazie al Santo patrono, amato e invocato con fede semplice e genuina dai fedeli della comunità di Lahore, in una nazione come il Pakistan dove la vita per i cristiani è spesso segnata dalla sofferenza. Discriminazioni e violenze, povertà ed emarginazione sono comuni tra i fedeli che rappresentano il 3 per cento della popolazione in una società al 90 per cento musulmana che sempre più spesso penalizza anche nei sacrosanti diritti di cittadinanza quanti non professano l’islam. Negando perfino la giustizia o insabbiando le responsabilità di veri e propri crimini commessi in odium fidei.
I cristiani in Pakistan vivono questa situazione con dignità e compostezza, con coraggio e profonda consapevolezza che «il Signore è il nostro Pastore, nulla ci fa mancare», riferisce serenamente don Iqbal, che governa con i suoi 36 anni una comunità di 20 mila anime nel centro di Lahore, capitale del Punjab, la provincia che è centro della vita economica, politica e religiosa del Paese.
I martedì e la lunga attesa
Molti fedeli della sua parrocchia forse non conoscono l’origine della pratica di culto dei «martedì di sant’Antonio». La devozione – legata al giorno dei funerali del frate, celebrati martedì 17 giugno 1231 – è nata nel 1617, quando una donna di Bologna, ricorrendo al patrocinio di Antonio per una grazia, ebbe in visione il Santo che le disse: «Visita per nove martedì la mia immagine nella chiesa di San Francesco e sarai esaudita». La donna così fece e il suo desiderio si compì: dopo vent’anni di matrimonio, un bambino venne a rallegrare la casa e a portare la pace in famiglia.Quella storia rivive oggi, a migliaia di chilometri e a 400 anni di distanza, nel racconto commosso di Shakila, mamma del piccolo Shine (nome che traduce come «splendore di Dio»), dopo un’attesa lunga dieci anni. La comunità locale gioisce con lei mentre dall’ambone della chiesa la donna esprime il suo personale magnificat, lodando Dio «per le meraviglie che ha compiuto».
L’articolo completo è pubblicato sul numero di luglio-agosto del «Messaggero di sant’Antonio» e sulla versione digitalizzata della rivista.