Scuole di pace, dialogo e speranza
Il primo appuntamento alla Scuola di pace «Vincenzo Buccelletti» è stato con Raffaele Crocco, il direttore di «Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo». Partire dalle guerre, compresi i numeri, per narrare la pace è il tema delle attività per il 2020. Siamo a Senigallia (AN).
Dal 1980 un gruppo di persone, associazioni, gruppi di volontariato ha messo insieme le proprie esperienze dando vita alla Scuola di pace. Una presenza divenuta punto di riferimento per la città nel dibattito su diritti umani, non violenza, solidarietà. A questa realtà marchigiana si affiancano, in tante parti d’Italia, numerose Scuole di pace.
Esperienze diverse con un unico motivo conduttore: proporre percorsi, riflessioni, laboratori di dialogo e confronto per tutte le età e credo religiosi. Un mondo in pace, spiegano, diventa poi molto più di un luogo in cui non ci sono guerre. È un posto in cui le società, resilienti e stabili, offrono a tutte le persone la possibilità di godere delle libertà fondamentali.
Ma per capire a pieno il valore della pace non si può prescindere dal conoscere l’origine dei conflitti, qualsiasi essi siano. Ancora una volta sono le parole del Papa a indicare la rotta: «Nessuna guerra è giusta. L’unica cosa giusta è la pace». Solo da qui sarà possibile percorrere strade differenti, scrivendo pagine nuove, mettendo a punto risoluzioni.
Ed è attorno a quest’ultimo termine che si fonda l’impegno della Scuola di pace di Senigallia dal titolo «Risoluzioni. Contare i conflitti, raccontare la Pace».
Parole e luoghi «Vogliamo riflettere sull’importanza della parola in un momento in cui sembra essere sfuggita al controllo – spiegano i due presidenti Francesco Spinozzi ed Elena Mazzanti –. La parola “risoluzioni” si prestava a questo nostro intento.
Risoluzioni è un termine che ha più significati: innanzitutto la fermezza con cui si affronta la difesa di valori quali umanità e accoglienza, ma anche il trovare soluzioni, non solo in senso ideologico, e se necessario ritornando sulle decisioni prese. Nessuna guerra ha ottenuto lo scopo per cui era prevista.
Ciò significa che bisogna cercare sempre una soluzione rispettosa dei diritti umani e che non arrechi danno alle coscienze oltre che alle persone. La non violenza deve diventare misura della buona politica; il pacifismo ne sarà l’anima e la non violenza il metodo con cui proporre soluzioni.
È anche linguaggio, democrazia, rispetto delle minoranze. C’è preoccupazione per il momento buio che stiamo vivendo, ma nello stesso tempo nutriamo fermezza. Siamo consapevoli della necessità di accendere delle luci. Vogliamo essere persone risolute nel proporre di condividere altrettranta risolutezza nel dire no a questo restringimento della cultura dell’accoglienza, alla costruzione di muri e alla chiusura dei porti. Vogliamo opporci a queste parole inquinate».
Se a Senigallia l’educazione alla pace avviene attraverso la riflessione sul valore delle parole, a Monte Sole, sull’Appennino bolognese, passa obbligatoriamente attraverso i luoghi.
Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 tutta l’area venne infatti circondata da circa mille soldati. Tra loro anche italiani appartenenti alla Guardia nazionale repubblicana. Divisi in quattro plotoni rastrellarono la zona da sud a nord, da est a ovest.
Bruciarono le case, uccisero gli animali e le persone. Il bilancio dei sette giorni di eccidio è di 770 vittime, tra i quali 216 bambini, 142 ultrasessantenni, 316 donne. L’eccidio venne compiuto in 115 luoghi: paesini, case sparse, chiese.
Non è un caso, dunque, se proprio in questo luogo intriso di storia e di sangue opera oggi la Scuola di pace di Monte Sole.
«Proponiamo vari percorsi educativi, laboratori, campi di dialogo che riguardano altrettante fasce di età e non solo – spiega la coordinatrice, Elena Monicelli –. Ogni attività prevede la visita di questi posti, la conoscenza di quanto è accaduto quassù. Partire da qualcosa di visibile e tangibile, soprattutto per i giovani, è di grande suggestione.
La nostra proposta non si è esaurisce, però, nella sola uscita. A questa seguono momenti di riflessione e incontro: la conoscenza dei processi storici, degli eventi e dei protagonisti del 1944 serve come stimolo per un approfondimento sui meccanismi che hanno portato a quei fatti. Il laboratorio, condotto a partire dalla presenza del gruppo in alcuni dei luoghi degli eccidi, attiva processi cognitivi ed emotivi che fanno dell’attività educativa un’esperienza umana a tutto tondo».
A Monte Sole vengono proposti anche campi di dialogo, rivolti a giovani provenienti da differenti realtà e contesti. Il primo ha visto l’incontro di quaranta di essi, provenienti da Italia, Germania, Israele e Palestina.
L’obiettivo principale: far incontrare ragazzi che arrivano da zone di conflitto, in cui è limitata la possibilità di contatto tra persone appartenenti alle parti contrapposte (per esempio, israeliani e palestinesi o serbi e albanesi dal Kosovo).
Sempre attorno a un luogo carico di significato è nata e opera anche la Scuola di pace di Boves (CN). Anche qui i tedeschi perpetrarono, tra il 1943 e il 1944, un altro eccidio in cui furono uccisi trentadue civili.
In prima linea nella promozione della pace anche la Rete delle scuole per la pace. Tra i progetti in corso «Cittadinanza 2030», percorso che si svilupperà nei prossimi dieci anni per formare i cittadini del mondo di domani proprio a partire dai valori della pace e del dialogo.
La Rete delle scuole per la pace nasce insieme al Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani e alla Tavola della pace. Lo scopo è quello di educare i giovani alla giustizia, alla cittadinanza, ai diritti umani. Con un’idea: inserire, in maniera permanente, l’educazione alla pace e ai diritti umani nei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado.
Oggi l’impegno della Rete si sta concentrando sull’educazione civica. Una materia che, finalmente, «sale in cattedra», ma che ha bisogno di docenti preparati, come è stato sottolineato a Padova il 9 e 10 dicembre scorsi durante un seminario nazionale in collaborazione con il Centro per i diritti umani «Antonio Papisca» dell’Università.
«Vorremmo ridare valore alla scuola – è stato ribadito – come vero “operatore intellettuale” in una sfida anche culturale, difficile ma sempre più urgente: educare alla pace».