Sudamerica, stagione di controrivoluzioni
«Le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non hanno una seconda opportunità sulla terra». Con queste celebri parole si conclude il capolavoro del Nobel colombiano, Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine, splendida metafora del Novecento latinoamericano.
Con l’inizio del nuovo millennio, però, il Continente sembrava essersi finalmente emancipato dalla profezia di Melquíades. Il boom del prezzo internazionale delle materie prime – di cui la regione è serbatoio e riserva per il mondo – aveva innescato il decollo delle economie nazionali.
La crescita sostenuta ha consentito di portare avanti con successo programmi di ridistribuzione che hanno fatto calare la diseguaglianza. L’indice di Gini ha raggiunto il minimo storico di 0,50 (i valori variano da 0 a 1).
Brasile e Argentina, cambi della guardia
L’esempio più emblematico è il Brasile, con 40 milioni di persone strappate alla miseria in meno di un decennio. L’«età dell’oro», tuttavia, non è sopravvissuta al crollo della domanda cinese e al conseguente calo globale dei prezzi delle risorse.Dal 2015, la recessione si è estesa a macchia di leopardo, mandando in crisi i governi – in genere di centro-sinistra –, protagonisti del precedente exploit.
Il primo cambio della guardia è avvenuto in Argentina. Là – dopo dodici anni di «kirchnerismo» –, alle presidenziali del dicembre 2015, è stato eletto il conservatore Mauricio Macri. Quest’ultimo ha inaugurato una politica restrittiva e di contenimento del bilancio.
L’inflazione, però, non è diminuita: per il Fondo monetario internazionale, entro la fine dell’anno arriverà al 25 per cento. La disoccupazione, al contrario, è in crescita, come hanno sottolineato anche di recente i vescovi locali. Oltre un terzo dei cittadini, secondo lo studio dell’Observatorio de la deuda social dell’Università Cattolica argentina, è povero. La difficile congiuntura ha provocato una serie di scioperi che vanno avanti da aprile.
In Brasile, la crisi è esplosa il 31 agosto scorso quando il Senato ha destituito la presidente Dilma Rousseff, del Partido dos Trabalhadores (PT). Quest’ultima era stata accusata nel dicembre precedente di aver truccato i conti pubblici per essere rieletta. Al di là della legittimità dell’imputazione, contestata da tanti, l’impeachment si è svolto in un contesto sociale ed economico tormentato. Dal 2015, il «Gigante del Sud» è entrato in recessione con un calo del Pil del 3,8 per cento. Seguito, nel 2016, da una nuova perdita del 3,49 per cento, mentre la disoccupazione ha raggiunto quota 12,1 milioni.
Al contempo, l’inchiesta giudiziaria Lava Jato ha spalancato il vaso di Pandora su un enorme scandalo di tangenti dall’azienda energetica pubblica Petrobras ai vertici politici. Tutti i partiti ne sono stati coinvolti, incluso, appunto, il PT al governo dal 2003, prima con Lula e poi con Rousseff. La rabbia dell’opinione pubblica – alimentata dall’inflazione – è esplosa in una serie di proteste. La sostituzione della presidente con l’ex vice – passato all’opposizione –, Michel Temer, non ha migliorato la situazione. Il nuovo governo annaspa in attesa delle elezioni del 2018. Vari ministri sono stati coinvolti in scandali.
Venezuela, crisi drammatica
La crisi più drammatica è in atto, però, in Venezuela. Alla recessione feroce – provocata dal crollo del prezzo del petrolio, principale risorsa nazionale –, si unisce una «guerra civile istituzionale a bassa intensità» tra Parlamento, dominato dall’opposizione dal 6 dicembre 2015, e governo del presidente Nicolás Maduro.
Per mesi, le leggi approvate dall’Assemblea sono state sistematicamente invalidate dalla Corte Suprema, fedele al presidente. Mentre i parlamentari hanno più volte cercato di sottoporre Maduro alla procedura di impeachment. Per far uscire la nazione dall’impasse, alla fine dello scorso anno la Santa Sede ha accettato il ruolo di «facilitatore» nel dialogo tra governo e opposizione promosso dall’Unione degli Stati sudamericani (Unasur).
L’arroccamento delle parti sulle reciproche posizioni ha fatto, però, naufragare il processo. Purtroppo, nei mesi successivi, la tensione s’è ulteriormente intensificata. Il 29 marzo, la sentenza 156 dell’Alta Corte ha esautorato l’organo parlamentare dalle sue funzioni per «oltraggio».
Nonostante la contestatissima misura sia stata ritirata due giorni dopo, il tentativo di colpo di mano ha scatenato l’ira dell’opposizione, riunita nella Mesa de Unidad Democrática (Mud). Le proteste di piazza, inaugurate dallo scontro del 4 aprile, sono tuttora in corso.
L’articolo completo è disponibile nel numero di giugno 2017 della rivista e nella versione digitale.