Tessitori di cura
«Gli elefanti hanno una natura mite. Infatti se si imbattono in un uomo sperduto nel deserto, lo guidano fino alla strada che conosce. O se vengono a trovarsi davanti a un fitto gregge di pecore, si fanno strada muovendo con calma e pazienza la proboscide. L’elefante più vecchio guida il gruppo, e quello che lo segue in ordine di età incalza gli altri. Quando devono attraversare un fiume, mandano avanti i più piccoli, perché i più grossi, passando per primi, non facciano sprofondare il fondale, provocando così dei gorghi pericolosi» (Sermoni, Domenica V dopo Pentecoste).
Mitezza. Non è certo la prima cosa che viene in mente quando si pensa a un elefante. È molto più probabile che si pensi alla sua grandezza, alla sua forza, all’impeto dirompente della sua corsa. Già questo potrebbe essere istruttivo per noi. Non è detto, cioè, che la prima cosa a cui scontatamente si pensa sia sempre la più importante. Potrebbe essere che di fronte a persone o a situazioni che riteniamo note ci sfuggano in realtà aspetti centrali, meno evidenti, ma che meritano la più seria considerazione. Così fa sant’Antonio parlando dell’elefante. Lo descrive come animale dotato di mitezza e questo gli permette di mettere in luce alcune propensioni tipiche di una persona mite. Ne risulta che la mitezza non ha nulla a che fare con un atteggiamento remissivo, quello di chi è accondiscendente anche quando ci sarebbe da tirar fuori grinta e determinazione.
Ma veniamo all’elefante. Dice sant’Antonio che quando incrocia una persona che ha smarrito la strada la sa condurre a un punto di riferimento sicuro. Mite è chi, dunque, non è indifferente se incontra una persona in difficoltà, ma cerca di offrirle degli orientamenti per rimettersi in cammino verso una meta. Lo stesso stile rispettoso emerge anche nel secondo esempio. Quando l’elefante s’imbatte in un gregge di pecore, anziché muoversi con prepotenza, si apre la strada con circospezione, usando la proboscide nel tentativo di avanzare senza fare danni. La persona mite, decodificando l’esempio, sa comportarsi con gli altri, anche quando sono tanti e ingombranti, senza ferire, senza compiere mosse violente.
La terza caratteristica potrebbe essere riassunta con un termine oggi molto in voga: sinodalità. È sinodale un processo che viene compiuto camminando insieme. Bella la descrizione: l’elefante anziano apre la via e un altro, il secondo per ordine di anzianità, si preoccupa di fare in modo che i più giovani procedano senza disperdersi. Mite è dunque chi si dà da fare affinché si proceda senza escludere nessuno.
Fa sorridere di tenerezza l’ultima descrizione, a completare il ritratto del mite elefante. Dare la precedenza a chi è fragile e indifeso, soprattutto quando l’affermazione di se stessi potrebbe mettere in serio pericolo gli altri. E di esempi negativi ne abbiamo davvero molti, sotto i nostri occhi, quando si impongono le proprie ragioni con la forza a discapito della vita e della libertà degli altri. Quando ci lasciamo prendere dal nostro egoismo, dalla nostra brama di uscirne vincitori, inevitabilmente creiamo dei «gorghi» pericolosi. Lasciamo, cioè, dietro di noi dei «buchi di ingiustizia» di cui, prima o poi, qualcun altro paga le conseguenze. La mitezza, al contrario, si annuncia come atteggiamento in grado di tessere discretamente legami di vicendevole cura, senza applausi o pubblici riconoscimenti, addirittura con il rischio di essere a volte fraintesi. Come è frainteso spesso l’elefante: ritenuto un animale pericoloso e possente, è in realtà indicato come interprete suggestivo di premura e responsabilità.
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