La Basilica inclusiva
Fra Nicola Galiazzo è un entusiasta: gli piace buttarsi nelle cose, specie se hanno a che fare con l’arte e con le persone, meglio se con l’arte e le persone assieme. Non a caso è uno dei tre frati della Basilica del Santo – gli altri sono Alessandro Fortin e Alberto Tonello–, che costituiscono l’équipe della Pastorale dell’arte, una forma inedita di pastorale, oggi in piena sperimentazione nella Chiesa, che cerca di arrivare a Dio attraverso quella traccia di divino che rende grande l’opera delle creature. Indubbiamente il suo background di architetto orienta anche il suo modo di essere frate. «L’arte è un grande ascensore verso l’infinito» chiosa fra Nicola e se quell’ascensore lo prendiamo in tanti e insieme, la salita ha tutto un altro sapore. Motivo sufficiente per cogliere al volo un bando di Fondazione Cattolica per enti del Terzo settore che promuovono progetti di inclusione e coesione sociale. Un’opportunità per spalancare le porte di questo ascensore anche alle persone con disabilità, rendendole protagoniste di un progetto davvero particolare.
Per la cronaca, i frati il bando l’hanno vinto sul filo del rasoio, con i 26 progetti finalisti che altalenavano pericolosamente nella classifica, spinti a ondate dai rispettivi supporter che dovevano votarli via internet. Fuori dalla marea della gara, è emerso, come un balenottero appena nato, il progetto «Il Santo per tutti», un percorso inedito nei tesori d’arte della Basilica del Santo e di alcune parti del convento dei frati dedicato ai pellegrini. A condurlo le guide A (i volontari), assieme alle guide B, cioè i ragazzi e gli adulti con disabilità dei centri diurni e della comunità alloggio del Villaggio Sant’Antonio di Noventa Padovana (PD), realtà anch’essa fondata e gestita dai frati. Tuttavia, all’inizio dell’esperienza il miscuglio di arte e varia umanità convinceva poco anche i diretti interessati.
«Io non ci volevo proprio andare – conferma Andrea, 40 anni, ospite del Villaggio Sant’Antonio, maglietta nera, grosso orologio arancio, sorriso contagioso – mi sembrava una cosa campata in aria. E invece mi ha cambiato la vita da così a così», spiega, girando verso l’alto il palmo della mano. E ora ci crede talmente tanto che è venuto a testimoniare l’efficacia dell’iniziativa insieme con tre compagni di viaggio (Lorenzo, Mirella e Gianpaolo), l’educatrice Elisabetta Valentini e la vicedirettrice del Villaggio Sant’Antonio, Paola Boscarello. Un nutrito drappello dell’ascensore di fra Nicola.
Lorenzo, 51 anni, in polo bianca, è più timido e serioso, ha l’atteggiamento pacato del pensatore: «Per me è stato un buon percorso e un buon traguardo, anche perché amo l’arte – dice sommessamente, poggiando il mento su tre dita – . Un’esperienza che mi ha fatto conoscere anche tante persone».
Spetta a Elisabetta, detta Betty, l’educatrice, calarci nel progetto: «L’esperienza è stata preceduta da quattro lezioni e il percorso delle guide A e B è stato in un primo tempo parallelo; abbiamo preparato sia le guide volontarie che i nostri ragazzi non solo dal punto di vista artistico, spirituale e organizzativo, ma anche dal punto di vista dell’accoglienza reciproca e di quella dei pellegrini. All’inizio l’attenzione sembrava centrata più sugli aspetti organizzativi, mentre alla fine della formazione ci siamo resi conto che l’attesa più grande era conoscersi. Al momento dell’incontro sembravano due gruppi di amici che non si vedevano da tempo: le guide A sapevano ormai come approcciarsi e dare il giusto spazio alle guide B e quest’ultime sapevano che cosa fare per la buona riuscita del progetto. Si è subito instaurata un’intesa, tanto che le coppie di guide appena formate hanno cominciato presto a muoversi in autonomia».
Il posto di Gianpaolo, 49 anni, due intensi occhi azzurri su maglietta rosso fuoco, è la Cappella delle reliquie: «Il nostro compito è raccontare ai pellegrini le ostensioni del corpo di sant’Antonio, quella del 1981 e quella del 2010: io mostro le foto, mentre l’altra guida spiega». Mirella, 58 anni, timida e gentile sotto il caschetto di capelli rossi, consegna le immaginette nella Cappella della Madonna nera: «La Basilica è bellissima – dice con voce un po’ stentata – tante cose non sapevo». Andrea, che è indubbiamente l’addetto alle pubbliche relazioni del gruppo, ci tiene a dare prova della sua performance alla Cappella di San Giacomo e declama Vergine bella di sol vestita del Petrarca, tappa fondamentale del tour: «È entusiasmante per me leggere questa poesia e la sua parafrasi – dice –. Ma soprattutto stare tra la gente; mi sento un altro e mi diverto pure».
Lorenzo aggiunge la sua pennellata di riflessione: «E c’è dignità in questa esperienza». Il limite è più visibile in alcune persone, ma in realtà ci riguarda tutti nella quotidianità e in certe fasi della nostra vita: «Notavo per esempio – commenta fra Nicola – che per alcune guide volontarie esporsi e parlare in pubblico è stato più difficile che per le guide B, in qualche modo si sostenevano a vicenda». A volte un limite più un limite dà come risultato la forza, rende consapevoli, porta a cercare altre soluzioni. «Nella società dell’efficienza – continua il frate – i limiti tendiamo a nasconderli, ma sono quelli che ci rendono umani, che ci permettono di accogliere noi stessi e gli altri per ciò che siamo. Questo è il valore aggiunto della nostra visita al Santo». E le persone apprezzano: «Sabato scorso – racconta Betty –, si è avvicinata una pellegrina per dirmi che la visita le era piaciuta molto: non aveva mai fatto un’esperienza di questo tipo, ed era rimasta colpita non solo dalla preparazione delle guide, ma dal clima disteso, sereno, familiare. I nostri ragazzi hanno accolto i pellegrini e a loro volta sono stati accolti».
Il Santo per tutti diventa così un piccolo spaccato di come dovrebbe essere la società: «Esperienze di questo tipo – afferma la vicedirettrice Paola – dovrebbero essere sempre di più, fino a diventare la normalità delle cose. Aiutano i ragazzi come i nostri a prendere coscienza della loro adultità e della capacità di portare a termine un compito complesso a beneficio di altre persone e aiutano noi tutti a sdoganare i nostri limiti per una società più serena e inclusiva». Un traguardo che per i frati rafforza la dimensione spirituale dell’esperienza: «L’obiettivo di noi frati è quello di rendere la Basilica del Santo un luogo dove ognuno possa trovare un’attenzione su misura, per poter conoscere e vivere appieno l’esperienza artistica e spirituale che questa meravigliosa Basilica può donare. Non semplici visite guidate, quindi, ma un’occasione di piena inclusività. Questa è la scommessa».
Chiude l’intervista la timida Mirella, che mi porge un’immaginetta di sant’Antonio, con tanto di reliquia, a dimostrazione che ciò che s’impara vale sempre, anche fuori dai contesti. Del resto, pure questo nostro incontro è a sua volta un’esperienza d’inclusività.
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