Tornando ai cavoli…
«Gentilissimo direttore, ho letto come sempre anche l’editoriale sul “Messaggero di sant’Antonio” di marzo. Ho cercato più volte di capire la storia dei due postulanti che si presentano a Montecasale da san Francesco. San Francesco è il santo che amo di più. Ma il fatto che abbia mandato a casa il postulante che aveva piantato un cavolo come da prassi, sinceramente non l’ho capito. Che cosa vuole dire credere nell’impossibile? In questo caso si tratta solo di piantare un cavolo secondo natura. Mi sono fatto questa domanda: se san Francesco avesse chiesto a entrambi i postulanti di buttarsi nel pozzo dell’eremo, avrebbero dovuto lanciarsi a capofitto giù nell’acqua per obbedienza cieca? Non sono quelli dell’islam che fanno questo? Lei scrive che la novità di Dio ha bisogno di questi scarti, dei deragliamenti, per poter irrompere nella nostra storia. Se avrà un po’ di tempo, mi spiegherà tutto questo? Mi scuso per l’ignoranza nel comprendere questa storia, ma proprio non la capisco. Le auguro buon lavoro».
Vincenzo D’Andrea - Foggia
Gentilissimo signor Vincenzo, pace e bene! La ringrazio di non aver esitato a esprimermi i suoi dubbi: non sempre un concetto se è chiaro a noi lo è allo stesso modo agli altri. Come ha intuito, non è in gioco l’obbedienza a tutti i costi: san Francesco non sta chiedendo ai due postulanti di essere disposti a dare la vita nel suo nome o a non usare la propria intelligenza. Insomma, a spegnere il cervello o a rinunciare al senso di responsabilità. Semmai a far emergere un’intelligenza e una fede ancora più profonde e nascoste: la capacità di immaginare altro, di vedere oltre, di non limitarsi al «si è sempre fatto così», di usare la fantasia per aprire percorsi che magari razionalmente sembrerebbero impossibili da percorrere.
Come dire? Se voglio fare la rivoluzione, anche spirituale, ho bisogno di seguaci che non si blocchino al primo ostacolo, che sappiano immaginare, anche contro tutte le evidenze, un mondo diverso, che si concedano ipotesi azzardate e innovative, che si fidino di chi vede ciò che i più non riescono ancora a vedere. Se l’uomo non avesse fatto così sin dalla preistoria, saremmo ancora qui a rincorrere i mammut con le lance con la punta di ossidiana. Allo stesso modo, se fossimo ancora qui a credere che Dio è in Cielo e noi siamo sulla Terra, Gesù non si sarebbe mai fatto uomo.
Questo è lo «scarto», il «deragliamento» di cui parlavo, necessari perché la storia, anche quella della salvezza e quella francescana, possa andare avanti. Dopo di che, evidentemente, torniamo pure a piantare i cavoli con le radici nella terra. Ci erano serviti (anche a san Francesco) solo come metafora. Mi permetta, infine, di dire che «spegnere il cervello» non è solo tipico dei fedeli musulmani, ma, semmai con esiti e modalità diverse, anche di molti di noi cristiani. Continui a leggerci e a mandarci i suoi commenti! Cordiali saluti, e un invito alla preghiera reciproca!
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