Una basilica, i draghi e le fenici
«Caldo e avvolgente, dolce e un po’ amaro, il profumo del cacao usciva da una vecchia scatola di latta illustrata in salotto. Ogni volta che andavo a trovare la nonna, quell’aroma mi ipnotizzava. Non badavo granché alla strano edificio con archi e cupole sul coperchio, men che meno all’omino vestito di marrone che teneva in mano un fiore bianco su un lato del parallelepipedo. Il mio obiettivo era sempre lo stesso: scartare i leggendari cioccolatini alla nocciola che puntualmente la nonna nascondeva nella scatola. Di tanto in tanto, mentre io sgranocchiavo, lei tentava di raccontarmi di quel signore col cappuccio che sapeva parlare ai pesci. Ma poi la mia distrazione la scoraggiava, e così accendeva la tv. Quello è il mio primo ricordo di sant’Antonio, una presenza sfumata e quasi impercettibile.
Anni dopo lo incrociai ancora di sfuggita durante le lezioni di catechismo. Le storie dei suoi miracoli, però, non mi intrigavano, perso com’ero a fantasticare su troll, elfi e regni perduti. Non sono mai stato uno studente modello, tanto meno mi definirei un cattolico da manuale. Spesso e volentieri la mia passione per i romanzi fantasy ha avuto la meglio sulla lettura della Bibbia e del Vangelo, con grande disappunto di mia madre. Nessuno poteva prevedere che proprio la passione per il fantastico mi avrebbe avvicinato a sant’Antonio…
E veniamo dunque all’anno in cui mi sono laureato in Lingue e letterature straniere all’Università di Padova. In cerca di ispirazione per la tesi, mi spinsi un giorno a caccia di animali leggendari. Su consiglio del mio relatore, entrai nella Basilica del Santo per incontrare draghi e fenici dipinti alle pareti o scolpiti nel marmo. Più cercavo con gli occhi queste creature, più i piedi si facevano pesanti. Finché non mi trovai davanti alla tomba di Antonio. Un grande senso di pace mi avvolse allora. Appoggiato a una colonna, rimasi a guardare la processione di fedeli in visita al Santo. Non so quanto tempo passò, ma quando uscii dalla Basilica era buio pesto. Da allora ci torno almeno una volta al mese. Per riflettere, per ringraziare e, sì, anche per pregare. Perché il mio rapporto con sant’Antonio è un percorso in divenire, una strada in salita, un cielo stellato dove volano i draghi e le fenici».
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