Una bella testa... svelata

Genio della matematica, l’iraniana Maryam Mirzakhani se n’è andata ad appena 40 anni. Ma ha lasciato al mondo l’eredità della sua storia di donna libera, emancipata e colta. Anche grazie al suo Paese: una repubblica islamica.
22 Settembre 2017 | di

La notizia della morte di Maryam Mirzakhani, a soli 40 anni, per un tumore al seno, ha occupato i giornali per un giorno. Non tutti i matematici che muoiono finiscono sulle prime pagine, nemmeno se hanno ricevuto la medaglia Fields, il massimo riconoscimento per le intelligenze che si dedicano ai numeri, ma Maryam Mirzakhani aveva anche altre ragioni per rappresentare una notizia: era una donna e veniva dall’Iran.

Da un lato le donne che brillano nelle materie scientifiche sembrano infatti ancora poche in tutto il mondo, vittime del pregiudizio che le vorrebbe meno portate per i numeri dei loro colleghi uomini. A questo dato, però, si somma il fatto che Mirzakhani proveniva da una repubblica islamica, e che nell’occidente laico nessuno si aspetta che nei Paesi islamici le donne possano studiare, meno che mai assurgere a eccellenza scientifica.

In alcune repubbliche islamiche questo è senza dubbio vero, ma non in Iran. Maryam, che nasce negli anni della rivoluzione khomeinista, e studia mentre è guida suprema del Paese l’Ayatollah Khamenei, si laurea infatti a Teheran nel 1999, appena due anni dopo l’elezione del presidente Khatami, e sa di non rappresentare un’eccezione.

Fu lei stessa a fare i conti con il pregiudizio anti-islamico americano allorché andò a specializzarsi negli Stati Uniti: «Quando studiavo per la laurea magistrale ad Harvard, mi è capitato di dover spiegare diverse volte che il fatto di essere donna non mi impediva di frequentare l’università in Iran».

Infatti, contrariamente a quello che comunemente si pensa – e che nei giorni della morte di Mirzakhani si è in modo erroneo anche scritto – in Iran l’alta istruzione femminile è la norma, e il perché me lo hanno spiegato proprio alcune iraniane qualche mese fa, in occasione della Fiera internazionale del libro di Teheran, dove ho visto donne guidare, fare politica, rifarsi il naso con la chirurgia estetica, andare in giro sole e lavorare fuori casa.

Incuriosita dalla relativa libertà personale di cui sembravano godere nonostante l’imposizione del velo – a dire il vero piuttosto blando, colorato e acconciato in fogge personalizzate da cui spesso sfuggivano i capelli – ho chiesto loro come le due cose si potessero conciliare, e ho ricevuto una risposta sorprendente: tutte si sono dette convinte che lo sviluppo dell’emancipazione femminile fosse stato causato proprio dall’imposizione del velo.

La ragione è storicamente comprensibile. Sotto lo scià Reza Pahlavi vigeva il divieto di indossare il velo nei luoghi pubblici, un tentativo di laicizzazione forzata della società mutuato dal modello turco di Ataturk, ma che colpiva soprattutto le donne degli strati sociali più tradizionalisti, le quali senza velo non venivano lasciate uscire di casa a meno che un uomo della famiglia non le accompagnasse costantemente. Il risultato era che le migliaia di donne che appartenevano a famiglie povere, periferiche o più religiose finivano per non poter studiare né lavorare fuori dalle mura domestiche.

L’imposizione del velo a opera di Khomeini si accompagnò invece a una cessazione dell’obbligo di accompagnamento maschile che di fatto «liberò» le donne dal giogo della casa e consentì che potessero studiare e lavorare senza essere continuamente vigilate.

Oggi nelle università iraniane il 60 per cento degli iscritti è donna, con picchi del 70 per cento nelle facoltà scientifiche, e a queste donne l’obbligo del velo deve certamente sembrare un piccolo prezzo per poter usufruire di una libertà personale altrove negata.

Per questa ragione, Maryam Mirzakhani, che faceva le elementari durante la guerra tra Iran e Iraq, ma aveva 20 anni nel momento giusto della storia, poté studiare fino ai massimi livelli, e poi andare a specializzarsi in America, e scegliere di restarci: Harvard, Princeton e, infine, Stanford, dove ha anche insegnato. Schiva, non ha rilasciato molte interviste – e nelle poche che circolano parlava soprattutto delle sue scoperte –, ma questo non le ha impedito di diventare un’icona per molte giovani, non solo del suo Paese.

Il riconoscimento del suo lavoro, infatti, dimostra che non ci sono generi più o meno portati per la creatività applicata alla scienza, ma che gli ostacoli sono invece nella differenza di opportunità che viene offerta alle donne e agli uomini, prima nelle famiglie e poi nei programmi scolastici pubblici, universitari e di ricerca, qualunque sia il Paese del mondo in cui nasci.

Se poi nasci in un Paese dove sei obbligata a portare il velo, la tua vita può complicarsi, ma con delle eccezioni. I giornali iraniani hanno dato la notizia della morte di Mirzakhani con grande cordoglio, tributandole gli onori dovuti a una delle migliori intelligenze della patria, ma lo hanno fatto con un gesto che ha qualcosa di rivoluzionario.

Mentre quando ha ricevuto la medaglia Fields il suo viso venne ritoccato per nascondere i capelli, alla sua morte, su quasi tutti i media del Paese la figura di Maryam è comparsa svelata, un fatto rarissimo nella repubblica islamica, dove la rappresentazione della donna a capo scoperto è vietata per legge, e il velo viene aggiunto con i programmi di fotoritocco persino alle star della musica internazionale in tournée o alle mogli dei capi di Stato in visita.

Forse la ragazza che ha dimostrato che la matematica è alla portata di qualunque intelligenza, ha fatto anche un altro miracolo silenzioso: ottenere la dimostrazione che una testa brillante non può essere coperta da nessuno.

Data di aggiornamento: 22 Settembre 2017
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