Viaggio mediterraneo. Donne di Algeri
Ho nostalgia di Algeri. Ho voglia di sedermi al Milk Bar, vecchio caffè di place emir Abdel Kader. Di andare al caffè Tantonville, luogo «di musicisti, ballerine, gente di spettacolo», o al Malakoff, ai piedi della Casbah, ad ascoltare musica châabi.
Quando arrivai la prima volta ad Algeri, la città mi apparve Africa e Mediterraneo, Oriente e Occidente, montagne e mare. Era come una grande nave dalla chiglia bianca sospesa nell’azzurro. Anni e anni più tardi, dopo l’oscenità della guerra civile, la si vide rinascere.
Aveva ragione Yasmina Khadra, nome di donna per uno scrittore dalle parole laceranti, ma capace di scrivere: «Ad Algeri ci sono giorni in cui il cielo e il mare si mettono d’accordo per ispirare un incredibile senso di beatitudine».
Assia Djebar, grande scrittrice algerina, non si stancava mai di camminare per Algeri: «Azzurro dappertutto…», annotava nei suoi taccuini.
Città ferita, città bellissima, città di ragazze velate e ragazze con jeans attillati. Amina, una giovane modella, mi disse: «Il velo lo mettiamo in testa. Non dentro la testa».
«Siamo mediterranei», mi avvertì il vecchio Yocef Said che mi raccontò di aver recitato nel celebre film di Gillo Pontecorvo.
Una donna anziana mi vide seduto sui tappeti del santuario di Sidi abd-e-Rahma, marabutto santo, si avvicinò per offrirmi pane e caramelle. E per dirmi che la bellezza della città faceva dimenticare perfino la fatica e la povertà.
Avevo letto anche Ryszard Kapuścińki: ad Algeri «tutto incuriosisce, attira, affascina e suscita inquietudine». Che città è questa? Mi sto ingannando in questo viaggio mediterraneo? Voglio vedere solo quello che voglio vedere? Io ricordo spiagge affollate attorno alla città, vedevo le ragazze prendere la funivia per salire alla basilica di Notre Dame d’Afrique (e sull’altra sponda del Mediterraneo, a Marsiglia, alta sulla città vi è Notre Dame de la Garde), ascoltavo musica rap e raï e entravo in librerie affollate.
E, posso giurarlo, osservavo Assia Djebar che, incantata, si fermava a guardare «le nuove donne di Algeri» uscire dalla penombra delle case «accecandosi di sole per un istante al momento di varcare la soglia».