Viaggio mediterraneo. Taranto, ammostro
Francesca indossa una maglietta. Sopra sta scritto: ammostro. Gli occhi si impigliano. «È una parola tarantina – mi spiega Iula, una sua amica –, indica e ribadisce quanto sia bella una cosa».
Ammostro rafforza una bellezza. Mi appare così strana, contraddittoria e, allo stesso tempo, così precisa, questa parola. Il viaggio mediterraneo arriva a Taranto, Italia bellissima, Italia violentata.
Scatto una foto banale: la foce di un fiume, due cigni bianchi, l’approdo di piccole barche di coltivatori di cozze. E solo dopo mi rendo conto della bellezza imperfetta: questo è il Galèso, il fiume più breve d’Europa, novecento metri di lunghezza. Se ne innamorarono Virgilio e Orazio. Sgorga da una polla sotterranea, una piscina carsica che oggi si trova a poche centinaia di metri dalle ciminiere dell’Ilva. Volta le spalle alla fabbrica, il Galèso, e se ne va al mare. La natura (acque limpide, eucalipti, cefali, erbe acquatiche) si inorgoglisce e fronteggia spavalda il cemento. Come a dire: «Non mi avrai».
Il Galèso conduce le sue acque nel primo seno del Mar Piccolo. Davvero ammostro è la parola giusta: l’orizzonte di Taranto, visto da qui, a poco distanza dai quartieri di Tamburi e Paolo VI, è bellissimo. La Città Vecchia è laggiù: oltre il mare azzurro-giada, oltre le geometrie delle coltivazioni delle cozze, allacciata alla terra ferma da due ponti. La Città Vecchia è isola, è Magna Grecia, è Algeri, Tangeri, Tripoli e Beirut, tutte messe assieme, unite e ridisegnate nell’orgoglio del Sud d’Italia. Taranto è la cripta di San Cataldo, sono le ragazze (artiste, poetesse, attrici, pittrici, come Francesca e Iula) che tessono e fanno serigrafie a un passo dalla chiesetta degli Armeni, sono i ragazzi che vogliono vivere e lavorare fra i vicoli della città. È lo straordinario museo archeologico (oltre 34mila visitatori in più nel 2016). È la casa di Calogero, in San Francesco, è il suo ultimo piano, dove è raccolta la storia del grano e, salendo ancora dei gradini fino alla terrazza, ci si affaccia sui due mari. Calogero mi mostra poesie scritte sul legno di una baracca alla foce del Galèso: «Attendi anche tu di soffiare nelle conchiglie? Il mare ha confidato ai fiumi l’ora delle maree». Parole di Pasquale Pinto, operaio Italsider. A Taranto si scrive. Sui muri e sui taccuini. La città è tosta. Lacerata, ferita, viva, rassegnata, ribelle. È troppo per me. Ti rimane addosso.