18 Aprile 2020

Una bugia «pietosa»

Quando la malattia è incurabile, meglio affrontare la morte nella consapevolezza oppure nell’illusione e nell’inganno a fin di bene? È il nodo su cui riflette il film «The Farewell – Una bugia buona» (Usa-Cina 2019) di Lulu Wang.
Una scena tratta da «The Fareweel – Una bugia buona» di Lulu Wang.
Una scena tratta da «The Fareweel – Una bugia buona» di Lulu Wang.

Quando alla nonna Nai Nai, che vive nel nord-est della Cina, viene diagnosticato un cancro inoperabile (prognosi: tre mesi di vita), tutto il gruppo familiare si compatta. Vengono in Cina a trovarla dal Giappone e dagli Usa con l’intendimento di aiutarla e sostenerla. In particolare, decidono di non dirle la verità, fingendo che quella tosse sia un disturbo transitorio e che quelle chiazze radiologiche al polmone siano «benigne».

Falsificano persino un referto medico e convincono i sanitari a farsi complici del diniego collettivo. Il motivo? La pietà! Una bugia pietosa - sostengono - può risparmiare alla malata un mucchio di pensieri angosciosi, che potrebbero stressarla o addirittura distruggerla psicologicamente. La nonna del resto si sarebbe comportata allo stesso modo…

Usano questa curiosa espressione: conoscere un destino triste «può farti volare via», può cioè farti uscire di senno, esporre i tuoi pensieri al vento maligno della follia. Soltanto la giovane, inquieta nipote Billi, che vive e studia a New York, esprime dei dubbi: stiamo veramente facendo l’interesse di nonna? Non le impediamo così di prendere decisioni importanti? Non lediamo la dignità di una donna che è ancora vitale sul piano fisico e lucidissima mentalmente?

L’etica sanitaria consentiva un tempo queste finte mosse comunicative, che a volte sfociavano in grottesche congiure dell’ipocrisia. Oggi riconosciamo il dovere di comunicare la verità al malato, nei tempi e modi opportuni. È il paziente che conserva sino alla fine l’eventuale diritto di non sapere e che può indicare a quale suo rappresentante possono venir riferiti i dati riservati (dati sensibili, nel linguaggio della privacy) che lo riguardano.

Nel film The Farewell – Una bugia buona, la 36enne regista sino-americana Lulu Wang riprende una storia vera (i titoli di coda informano lo spettatore sui dati di cronaca) e fa un ritratto comicamente amaro dei motivi che sostengono questo atteggiamento di negazione: una diffusa rimozione culturale della morte, il mito di una vita serena a ogni costo, il paternalismo nei confronti degli anziani, l’incapacità di affrontare un discorso leale sull’incombenza della fine, il sogno evasivo di una felicità da cartolina, la silenziosa violenza esercitata da gruppi familiari che entrano nel panico di fronte a separazioni, trasformazioni, lutti.

Il cinema, la nobile arte che vive di illusioni ottiche e di trucchi magici, gioca la carta della suspense. Noi spettatori (grazie alla voce e allo sguardo del narratore) sappiamo quello che il personaggio ignora, ma nel silenzio della sala di proiezione non possiamo in alcun modo aiutarlo!

Il film di Lulu Wang ci intriga per un’altra sottile ragione. La famiglia cinese è criticabile nella sua pretesa di imporre, di nascosto, le proprie regole di convivenza. Ma non è condivisibile nemmeno la tattica occidentale, egualmente brutale, di sbattere la verità addosso al malato, di fornire sbrigativamente informazioni «nude e crude» a chi meriterebbe un’attenzione psicologica, una condivisione empatica, un aiuto nell’elaborazione affettiva.

L’alleanza terapeutica va oltre l’atto esteriore di dire la verità e impegna il curante a «essere vero» con chi soffre. In Cina almeno non si muore soli! Perciò lo spettatore scopre a tratti di invidiare la sorte della nonnina, accudita e abbracciata da un guscio ovattato e confortevole, fatto di buoni sentimenti.

Che cosa è meglio? La dolorosa solitudine di un morente consapevole oppure la gioviale, anche se falsa conversazione di un gruppo, che vuole risparmiare a sé e alla malata quelli che ritiene inutili patimenti? La regista ci chiede di immaginare e sperimentare il sorriso giusto, la carezza delicata, la parola più gentile per recitare la commedia della vita senza rinnegare la forza di una tradizione e nemmeno affogarvi dentro.

 

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Data di aggiornamento: 18 Aprile 2020
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