Vestiti da Dio!
Dolce & Gabbana, Valentino, Armani, Calvin Klein, Dio. E perché no? Se vi fa specie trovare il nome di Dio assieme ad altri famosi stilisti, ricordatevi che il primo in assoluto fu proprio lui. Il racconto non ci sarebbe nemmeno bisogno di rileggerlo, tanto è conosciuto, tra i due che si scoprono maliziosamente nudi e la terrificante immagine del cherubino di guardia al cancello con in mano la spada fiammeggiante! Quando i nostri due progenitori in mutande vegetali, dopo aver allungato le mani sul frutto proibito, stanno per esser espulsi dal paradiso terrestre, con un foglio di via che li costringeva a cercarsi con fatica un nuovo paradiso più avanti.
Al posto di qualche foglia con cui Adamo ed Eva si sono maldestramente coperte le pudenda, pallido tentativo di porre rimedio a una situazione ormai compromessa, Dio stesso si inventa provetto sarto e confeziona per loro veri e propri abiti di pelle (Gen 3,21). Tuniche che ricoprono tutta la loro persona, più pratiche ed eleganti dei loro perizomi striminziti di foglie di fico. Capi di abbigliamento su misura, pezzi unici e firmati. Tant’è, giusto per esagerare, che un commento rabbinico a questo brano, semplicemente cambiando l’ebraico ‘ôr, pelle, in ’ôr, luce, traduce con «tuniche di luce». E tutto affinché Adamo ed Eva non si vergognassero nella loro prima uscita in società!
Come dire? Dio non ci ha messo semplicemente «una pezza»: «Il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare”» (Lc 15,22). Ma il Creatore non smise mai di interessarsi di moda, anche se ormai trasformandosi da sartoria artigianale a semplice stilista: descrisse a Mosè come dovevano essere gli abiti dei sacerdoti, prevedendo anche i cosiddetti accessori (Lv 8,7-9) e a Bezalel come ricamare in porpora viola e rossa, in scarlatto e in bisso (Es 31,31), lanciò con Sansone la moda dei capelloni (Gdc 13,15) e con Ezechiele quella del piercing al naso (Ez 16,12). Ideò anche un brand esclusivo, da tatuarsi sulla fronte: il tau (Ez 9,4). Sì, proprio la lettera preferita da san Francesco d’Assisi… E allora la sfilata di moda può continuare!
Chi non si è mai commosso contemplando il saio di Francesco, quello conservato accanto alla sua tomba ad Assisi o al santuario della Verna? Ma anche quello di sant’Antonio nella Basilica padovana? Un capo che nasce del tutto originale e unico, semmai un po’ scopiazzato guardando poveri e contadini nonché saltimbanchi vestiti da Arlecchino: un due pezzi, tunica e cappuccio per ripararsi da sole e pioggia, a base di ruvida stoffa di sacco, dal colore vagamente grigiastro ma con inserzioni al bisogno di pezze anche di altri colori. Il tutto stretto ai fianchi da una semplice corda, inutile per appenderci armi o borse dei soldi ma buona per farci tre nodi «promemoria», per castità, povertà e obbedienza. Un nuovo look, riconoscibilissimo anche se più un’idea che un prototipo, che diventerà da subito seriale, indossato da migliaia di frati in giro per il mondo, di volta in volta personalizzato con sfumature e pieghe diverse.
Una moda essenziale, per «sottrazione», come Gesù che rimproverava ai farisei del suo tempo di aver allungato fuori misura filatteri e frange dei loro abiti sacri (Mt 23,5). Un bel capo di alta moda proprio perché riesce ad alludere ad altro, a sognarsi arditamente diversi. Sartoria di classe perché capace di comunicare emozioni, progetti, scelte, appartenenze.
Non per niente Francesco il suo saio l’aveva voluto a forma di croce. Un abito perciò «penultimo», prêt-à-porter. In attesa di quando finalmente indosseremo vesti nuove, bianche e splendenti come nessun lavandaio sulla terra saprebbe mai lavarle (Mc 9,3).