Essere social
Quanta invidia per come i nostri ragazzi manipolano con competenza e abilità sfacciata computer, smartphone, iPhone, canali social verbali e fotografici! Il mio computer mi ha appena dato un classico «errore» rosso sia per smartphone che iPhone, giusto per rivelarvi la mia età tecno-anagrafica. La «nuova generazione» ai miei tempi era costituita da coloro nati dopo di me, ora sono invece gli aggiornamenti e le nuove versioni di protesi comunicative a cui non si può assolutamente rinunciare. Io fatico persino a immaginarmi come uno riesca a essere sempre aggiornato (l’unica cosa che ci capisco è che qualcuno ci guadagnerà un bel po’ di soldoni da tutta questa faccenda, o no?!).
Però, insomma, l’invidia mi resta. Non hanno bisogno di aspettare neanche un attimo per sentirsi con gli amici. Per sentirsi… anche per vedersi. Basta un click sul proprio device (ci risiamo: neanche questa parola è riconosciuta dal mio programma di scrittura…), va be’, sul proprio dispositivo, e l’amicizia è bella che rinsaldata e il gruppo di amici allargato. Se sei dotato dell’applicazione giusta, o come dicono loro «hai scaricato l’app», possiedi tutte le informazioni di cui hai bisogno a portata di mano. Puoi condividere con gli altri la tua vita quotidiana, come sei vestito oggi, cosa stai mangiando, che libro stai leggendo, che monumento stai visitando. E i tuoi interlocutori, coloro che sono connessi con te, possono rimandarti i loro feedback e tu, a tua volta, fargli sapere i tuoi «mi piace». In un’inedita riformulazione del «principio dialogico» del filosofo Lévinas.
Persino l’evangelico: «Seguimi!» (Mt 9,9), assume un’insperata impennata di adepti, di followers che seguono giorno per giorno qualcuno. Il cui numero fa impallidire la manciata di discepoli, per di più scalcagnati, che seguivano Gesù nelle sue peripezie palestinesi. Davvero tutto ciò è molto social! Non possiamo che essere la puntata di umanità più socievole, in relazione, in rapporto costante gli uni con gli altri, meno sola, che sia mai capitata dai tempi di Adamo ed Eva. Che, è risaputo, essendo in due non ci mettevano poi molto a essere social o global, il paradiso poi era quello che era per cui dopo un paio di settimane avranno anche esaurito il materiale per i loro whatsapp. Ricominciando così a guardarsi in faccia, e forse anche accorgendosi di ciò che li circondava: ahimè, serpente compreso (ma allora, si chiederanno i genitori, il «male» è dentro questi strumenti o intorno a noi?).
Io però non ho una pagina facebook né un account twitter (inutile far notare, vero?, che anche questi due termini non esistono nel vocabolario del mio computer; ora seleziono la funzione «aggiungi»… fatto!). Allora ho provato a farmi anch’io degli amici al di fuori dei social, ma usando le loro stesse armi. Come? Ora quando cammino per strada mi provo a raccontare a chi incontro come mi sono svegliato stamane, di che umore erano i miei confratelli, qual è il Vangelo del giorno, che razza di impegno mi aspetta per il pomeriggio, le storie dei ragazzi in difficoltà con cui viviamo, gli mostro le foto della nostra cappella, l’icona che rappresenta sant’Antonio con in braccio Gesù bambino e un bel pezzo di pane, di noi in pellegrinaggio a un santuario mariano o davanti a una pizza, di me mentre contemplo solitario una montagna.
Non solo. Cerco anche di ascoltare quello che la gente si dice, e intervengo con sonori «mi piace!». Potete anche non crederci, ma vi giuro che funziona! A oggi mi seguono praticamente in sei: un cane, che mi sa tanto doncamillesco, ma anche due vigili urbani pensierosi, una psicologa di fiducia, un confessore preoccupato e un vu’ cumprà con collanine etniche…