Faccio i conti con il tempo... meteorologico!
«Gentile direttore, le chiedo anticipatamente scusa per questa mia lettera un po’ superficiale e la ringrazio per l’ascolto che vorrà offrirmi. Non sono angosciata per qualche problema fisico o morale, ma piuttosto infastidita per quello che forse è solo un acciacco degli anni che avanzano, ma forse anche no. Nonostante le inevitabili percosse della vita, sono sempre stata una persona piuttosto solare. Ultimamente, però, e sono alcuni anni che lo noto, mi scontro con... il meteo. Se la giornata è grigia, umida, fredda, ne risento subito, incupendomi e gettando grigio anche su mio marito e su chi ho intorno. Il problema si acuisce con l’inverno, quando le ore di luce a disposizione sono sempre troppo poche. Vorrei reagire ma vedo che fatico. È “normale”? Posso fare qualcosa o devo più o meno serenamente rassegnarmi?».
Lettera firmata
Cara lettrice, mi mette in difficoltà! Noi francescani siamo contenti di qualsiasi situazione meteo (tranne quelle estreme, si intende) quasi «per contratto», se stiamo a quanto san Francesco afferma e prega con il Cantico di frate Sole. Quindi non potrei proprio dirle che preferisco una stagione a un’altra, una giornata di sole a una di pioggia. In realtà le confido che anche io ho le mie predilezioni, ma non è questo il momento per parlarne!
La meteoropatia può essere una malattia bella e buona, ma qui escludiamo questa ipotesi medicalizzante per spostarci su un piano diverso. Lei si è già fatta una bella diagnosi, ed è stato pure saggio metterla nero su bianco: serve per, come già sembra essere consapevole, reagire. Perché va bene a volte prendersi sul serio, ma a volte è saggio precisamente il contrario, non bisogna farlo, o, meglio, si può provare a mettere tra parentesi quel fastidio che proviamo, contrastare quel grigiume che sembra pervaderci, offrendolo al Signore anziché diffondendolo su tutta la nostra giornata e tra chiunque incontriamo.
Curioso: le due parole caratterizzanti il suo scritto mi sembrano un’antitesi imperfetta, formata da «luce» e dal suo contrario, che non è come ci si potrebbe attendere buio, ma proprio «grigio». La Parola può aiutarci a capirle meglio. Se dobbiamo sintetizzare il discorso, possiamo addirittura risalire all’atto creatore – il primo! – di Dio: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte» (Gen 1,3-5). Insomma, il primo ad accendere la luce fu niente di meno che Dio stesso. È allora cosa buona e giusta che davanti al Santo dei santi, nel tempio di Gerusalemme ma già nella tenda durante il cammino nel deserto, arda perennemente neanche una sola lampada, ma ben sette (Es 25,37; cf. Ap 7,4-5). Segno – come dire? – che la persona è in casa, e che essa stessa è «luce» («Io sono la luce», Gv 8,12; così san Francesco «ha riguardo per le lucerne, lampade e candele, e non vuole spegnerne di sua mano lo splendore, simbolo della Luce eterna», FF 750). Mica perché Dio non ci veda, ma perché vediamo meglio noi: «Lampada per i miei passi è la tua parola, / luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Ma arriveremo a che «non vi sarà più notte, / e non avranno più bisogno / di luce di lampada né di luce di sole, / perché il Signore Dio li illuminerà. / E regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,5). Quando anche noi diventeremo «luce». Come santa Chiara: «Questa fu l’eccelso candelabro di santità che rifulge vividamente nel tabernacolo del Signore, al cui grande splendore accorsero, attratte, e tuttora accorrono moltissime, per accendere a quel lume le loro lampade» (FF 3295).
Dove voglio arrivare, cara lettrice, l’ha già capito: quando «le ore di luce a disposizione sono troppo poche», diventi lei stessa luce!
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