Marco Casula: cronache dall’Artico
Ny-Ålesund, Isole Svalbard, mille chilometri dal Polo Nord. Fa un certo effetto collegarsi, prima con una sbirciata su Google Earth e poi in videochiamata, con questo posto nel mondo, eppure fuori dal mondo. In diretta dalle Svalbard Marco Casula, 28 anni, veneziano, tecnico dell’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISP), unico italiano fra trenta ricercatori di svariate nazionalità, culture, religioni.
«La Base Dirigibile Italia – spiega – si trova in questa cittadina sulla sponda meridionale del fiordo Baia del Re, una trentina di abitanti, le case affacciate sul Mar Glaciale Artico. Siamo ricercatori scientifici provenienti da tutto il mondo. Io sono arrivato a gennaio, prima della pandemia, una situazione che mai avrei immaginato, tanto che è stato impossibile per mesi programmare l’eventuale ritorno. Del Covid-19, in verità, ho saputo da un collega dell’Istituto Polare Cinese».
Alla base si è creata una piccola comunità. «Dal punto di vista lavorativo collaboriamo per condurre le varie attività di ricerca. Finito il lavoro, siamo un gruppo molto unito, non ci sono barriere, tantomeno confini. La situazione di emergenza ha rafforzato, caso mai, proprio la necessità di cooperazione tra tutti i Paesi. Una modalità operativa da cui attingere una lezione per il futuro».
Il lavoro di Marco fa parte del progetto di ricerca a lungo termine che vede impegnato il CNR sulla stessa base della spedizione guidata dal generale Umberto Nobile, nella primavera del 1928, durante la quale il Dirigibile Italia precipitò sul pack. «Il compito è quello di capire le cause per cui l’Artico si sta scaldando a un ritmo molto più veloce del resto del pianeta – prosegue il ricercatore –. Osserviamo la stratificazione dell’acqua per comprendere eventuali cambiamenti nella composizione chimica e nella dinamica, monitorando, ad esempio, le correnti oceaniche. Studiamo l’effetto degli inquinanti sull’ecosistema e sull’ambiente Artico. Io mi occupo, in particolare, del campionamento di particolato atmosferico: coordino la strumentazione che raccoglie il particolato su filtri che verranno poi esaminati in laboratorio in Italia. Altri strumenti, invece, analizzano le caratteristiche delle particelle in tempo reale. Eseguo, inoltre, il campionamento della neve superficiale. Ogni giorno raccolgo campioni dal primo strato del manto nevoso, li peso, li catalogo. Poi, dopo un primo processamento, li metto in congelatore in attesa che vengano spediti in Italia per essere refertati».
«Isolamento? Fa parte del lavoro»
Marco ha un sogno: «Dopo l’Artico vorrei andare in Antartide». Come riesce a vivere isolato in un posto già isolato di suo? «Per me non è una novità. Ci sono abituato, fa parte del mio lavoro, un mestiere che ho scelto. Comunque, durante l’emergenza Coronavirus sono sempre rimasto in contatto con la famiglia, gli amici, i colleghi. Per riuscire a star bene in una situazione come questa, bisogna essere “attrezzati” e avere già imparato a star bene con se stessi. Io ho una fortuna di partenza: faccio ciò che mi piace. Si dovrebbe riuscire a trovare una propria dimensione facendo quello che ci gratifica. Io leggo, scatto foto, cucino, ascolto musica, tra tutti i Pink Floyd. La mia colonna sonora? The Great Gig in the Sky. La cosa più bella? Mi basta guardare fuori dalla finestra: le aurore boreali, i chilometri e chilometri di ghiaccio e neve, il silenzio, i paesaggi. Tra tutti, il cielo. Quello pennellato solo di stelle e di luce, tanto che non ti servono torce per illuminare la notte. Un cielo così, capace di toglierti davvero il respiro, non si trova in nessun altro posto al mondo».
(Marco Casula è rientrato in Italia alcune settimane fa).
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