L'albero della pazienza
Qualcuno di voi avrà sentito parlare dell’«albero dei rosari» o «albero dei paternostri», noto in botanica con il nome di melia azedaradach, che in persiano significa «albero nobile».
Quest’albero esotico, originario dell’India e della Malesia, diffuso in Italia soprattutto al Sud, produce frutti i cui noccioli, particolarmente duri e sferici, sono stati utilizzati nella realizzazione dei rosari per lunghissimo tempo, prima che la plastica si diffondesse su larga scala e ne occupasse il posto.
Qualche tempo fa ho scoperto con sorpresa che in Toscana l’«albero dei rosari» prende il nome di «albero della pazienza», cosa che mi ha subito solleticato qualche riflessione sui tempi incerti che stiamo vivendo e sul binomio pazienza-disabilità. Siamo ormai in autunno inoltrato, una stagione che, come scrive Duccio Demetrio nel suo Foliage. Vagabondare in autunno (Raffaello Cortina Editore, 2018), «è un tempo di metamorfosi sublimi e incantamenti, di distacchi e di ritorni, di abbandoni e di rinascite».
Quest’autunno ci chiede qualcosa in più, di riconciliarci con una primavera mancata, un tempo naturale e fisiologico del fare che l’emergenza ci ha sottratto. Finendo per creare squilibri nel ciclo vitale di ognuno e intaccando la capacità di concepirci nel futuro oltre le aspettative, cosa che di norma riusciamo a metabolizzare proprio durante il periodo in cui le foglie si colorano e cadono, e che, forse, resta la maggiore sfida a cui le persone con disabilità sono chiamate nel confronto con la propria intimità.
L’albero della pazienza non è mai stato presente e necessario come quest’anno. Ma cosa c’entra la «pazienza» con la parola «disabilità»? Di solito parliamo di «logica della lentezza», quel tempo dilatato necessario per stabilire una vera relazione tra educatore e persona con disabilità, che ci permette di lavorare all’unisono su deficit, abilità e risorse.
La pazienza, però, va un po’ più a fondo: ci mette a contatto con le fatiche di questo processo coinvolgendo entrambi i soggetti in campo. La pazienza ci riconduce al «patire» (un malessere fisico, un disagio psichico), alla capacità di frenarsi (contenere un momento d’ira o irritazione mettendosi nei panni dell’altro) ma anche all’impegno e alla concentrazione (pensiamo all’applicazione continua che implica l’ascolto, ai tentativi per prove ed errori che fanno parte dell’educare e dell’imparare).
La pazienza delle persone con disabilità (che è già molta) è stata messa a dura prova durante il lockdown, e ciò vale anche per tutti quei familiari e operatori che hanno dovuto affiancarle, in presenza o a distanza.
Questo periodo ci ha insegnato che la pazienza, più che un patire, è tenacia, costanza e precisione – quei mezzi che si impiegano nello svolgere un compito superandone le piccole difficoltà – e che è sempre possibile farcela, mantenendo accesi lo sguardo e la possibilità di sorridere di noi.
Scrive il poeta Angelo Casati: Non chiamate decadente questo autunno / mi abbevero / alla festa dei colori / chiazze gialle / rossi accesi / sui brividi di cielo azzurro / tavolozza dell’inedito […]. C’è bisogno anche di poesia…
E voi, vi siete mai appoggiati all’albero della pazienza? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.
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