L’albero che noi siamo
Anche quest’estate, quanti alberi bruciati. Che dolore grande. «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami» (Mt 13,31-32).
C’è una dimensione nascosta della vita, silenziosa e capillare, un movimento carsico di trasformazione che però non porta automaticamente, magicamente al compimento, al Regno di Dio che realizza tutta la giustizia e la bellezza e il bene che ci mancano. La Bibbia non conosce magnifiche sorti e progressive, conosce una storia di cadute, errori, riconoscimenti, fedeltà, ancora tradimenti, dedizioni, che riguardano i re come i profeti come gli apostoli. Eppure una dimensione nascosta tiene insieme la storia «fin dalla fondazione del mondo» (Mt 13,35).
Riconosciamo qui l’azione misteriosa di Dio che in ogni caso meravigliosamente tesse la trama su cui si allarga la storia dell’uomo. Ma si deve raccogliere insieme un invito rivolto a noi, abitanti della terra e tessitori della nostra storia. Se nessuno semina – non tutti gli uomini e tutte le donne del mondo, ma almeno uno, due, dieci –, allora niente vita nascosta che nasce, si sviluppa, si espande, splendido allargarsi nel cielo, niente ombra, niente nidi. Il Dio della Bibbia non è un Dio che ogni giorno ricrea tutto dal nulla mentre gli uomini stanno in passiva attesa della sua azione miracolosa, sia pure fiduciosi e traboccanti di speranza.
Dietrich Bonhoeffer scriveva che i cristiani non possono sottovalutare il valore etico del successo. È un lusso, dice, che ci si può concedere quando il bene si afferma, ma quando nella storia prevale il male bisogna pensare che viene meno «il terreno sul quale la vita può continuare». Alberi, terreno, le immagini ritornano. Non possiamo autoconsolarci con l’idea che la storia è sorretta comunque dalla promessa. Ci sono azioni quotidiane che siamo chiamati a compiere per il Regno, azioni simili al seminare alberi, cioè azioni visionarie, che racchiudono una potente fede nel futuro. L’urgenza del momento porta sempre con sé la tentazione dell’azione ragionevole, dall’efficacia immediata e anche spendibile, che il mondo vede e ammira. Invece siamo chiamati a fare azioni irragionevoli, costruire l’arca per un diluvio che ancora in troppo pochi vedono arrivare.
L’azione nascosta di Dio non è un’idea acquietante. Non si tratta di dire d’accordo, il nostro modo di fare catechismo non funziona e apre la strada alla fuga dei ragazzi dalle comunità, a Messa non ci va nessuno, ora dopo il Covid men che meno, la rilevanza politica e sociale dei cristiani è quasi nulla, ma non importa perché c’è la trama del Regno che ci sostiene. Intanto a noi è chiesto di seminare, sostenere azioni visionarie, operare, riparare e condividere e quando siamo stanchi possiamo riposare tra i rami di alberi cresciuti perché altri hanno seminato. C’è anche la responsabilità intergenerazionale in questa parabola del seme. Quella su cui stiamo ballando in modo dissennato, a suon di debiti, bonus a perdere e consumi, come se non ci fosse futuro.
Solo così possiamo attraversare i giorni e lasciare andare la paura insieme ai beni che abbiamo, anche se sono pochi, e affidare. Solo così l’efficacia è assicurata. Per noi, nella felicità del dare, nella sorpresa del vedere alberi crescere, foglie allargarsi, ombra sotto cui riposare. Anche noi siamo stati piantati, i nostri giorni sono stati accuditi, e per questo possiamo lasciar cadere semi senza pretese, disperdere per esuberanza di vita, per natura, per vocazione, per amore.
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