La forza dei piccoli
Nella storia della letteratura è frequente utilizzare un personaggio infantile per raccontare le verità che il mondo degli adulti non sa o non vuole sentirsi dire: in tale contesto, il grido dei piccoli incarna la voce non tanto dell’innocenza – il più grande equivoco sull’infanzia è supporla innocente – quanto della verità delle cose, espressa con l’assoluta mancanza di ipocrisia o di senso della convenienza che sono invece i tratti caratteristici della cosiddetta civilizzazione adulta.
I grandi narratori erano convinti che più le cose sono indicibili, più serve che a dirle sia una voce bambina, oppure nessuno le ascolterà. Francisco Vera è senza dubbio una di quelle voci, solo che lui non vive in una fiaba: abita in Colombia, in una cittadina a 90 km da Bogotà, dove ha già imparato che il prezzo del dire la verità rimane grande anche se tu sei ancora piccolo. Francisco, detto Fran, è un attivista ambientale, una definizione che in Colombia è già sufficiente a metterti in pericolo di vita: nel 2020 sono stati 53 i morti tra i militanti, l’anno precedente 64.
I giornali in modo semplicistico lo definiscono «il fratellino sudamericano di Greta», ma Fran ci tiene a precisare che l’attivismo ambientalista, al di là della sua ammirazione personale per la ragazza svedese, è maturo anche quando è portato avanti dai giovanissimi e ha voci e contesti diversi. Quello sudamericano in genere è uno dei più complessi e pericolosi, perché la protezione delle specie e degli habitat locali si scontra direttamente con importanti interessi economici, i cui portatori ricorrono a ogni mezzo pur di far tacere le voci di disturbo.
Se la voce è quella di un bambino diventa però più complicato minacciarla, perché la comunità internazionale tende a reagire con maggiore prontezza. Le minacce di morte a Francisco all’inizio di quest’anno hanno suscitato infatti indignazione internazionale e spinto l’ONU, nella persona dell’alta commissaria per i diritti umani Michelle Bachelet, a scrivere pubblicamente al bambino una lettera di solidarietà, esortandolo a continuare il suo attivismo.
Francisco è ambientalista sin da quando, a 6 anni, partecipava con la famiglia alle proteste contro la corrida. Lui, con gli occhi allegri dietro gli occhialetti da miope, dà il merito di questa consapevolezza all’ambiente rurale in cui è cresciuto, stando a contatto con gli animali e imparando ad amarli, e in effetti non è difficile immaginarselo in un’aia a rincorrere oche e conigli. È un’interpretazione tenera, ma non molto realistica; chiunque provenga da una cultura contadina sa che non è mai stata la culla della coscienza ambientalista.
È certo più credibile che a questa sensibilità si sia affiancata la frequentazione dei testi di filosofia e di fisica che Fran legge copiosamente nella libreria di famiglia, visto che la madre assistente sociale e il padre avvocato gli hanno trasmesso l’insofferenza per l’ingiustizia e gli strumenti per organizzarla. Ci sono riusciti così bene che oggi la voce di Francisco non è solo un punto di riferimento per il movimento ambientalista colombiano, specialmente tra i più giovani, ma si fa sentire anche su questioni che riguardano la vita dei bambini in senso più ampio.
L’ultima sua espressione pubblica – quella che gli ha causato le minacce di morte – era infatti relativa alla Dad, la didattica a distanza che anche in Colombia sta tenendo gli studenti a casa invece che a scuola, nella speranza di evitare l’aumento esponenziale dei contagi da covid. Francisco ha postato su Twitter un video dove chiede al governo di potenziare la Rete internet, perché molti bambini e bambine non vi hanno accesso e questo significa escludere anche quel poco di scuola che si poteva ancora fare da casa, con un effetto discriminatorio che si abbatte soprattutto sulle famiglie più povere e su quelle che vivono nelle periferie e nelle campagne, meno servite dalle infrastrutture tecnologiche.
Sarebbe un errore considerare marginale questa richiesta rispetto alla battaglia ambientalista, perché è vero esattamente il contrario: chi oggi ha 11 anni come Francisco, in qualunque parte del mondo si trovi, considera la possibilità di connessione un diritto inalienabile e, se ha una sensibilità sociopolitica, finisce per trarne anche un metodo di azione – quello reticolare – che può applicarsi a ogni questione di merito, che sia ambientalista o no.
Senza internet, cioè senza la possibilità impensabile di raggiungere con la propria richiesta di giustizia tutto il mondo, non ci sarebbero stati mai i Fridays for Future, le primavere orientali, le proteste contro i governi autoritari dell’Est Europa, l’attivismo organizzato dei più piccoli dalla Svezia alla Colombia e nemmeno il rafforzamento dell’impegno storico degli adulti più attenti al cambiamento.
Quando Francisco chiede al governo la possibilità di restare connesso non sta affermando un capriccio, ma il diritto di esistere come voce alternativa a un potere che del dissenso farebbe invece volentieri a meno. Non meraviglia che riceva minacce per questo. A scandalizzare dovrebbe piuttosto essere il fatto che a rischiare l’incolumità personale per chiedere equità e diritti debba essere un bambino. Davanti alla storia, i veri immaturi si giudicano dalle scelte, non dall’anagrafe.
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