31 Marzo 2021

Correre per la vita

Scriveva Bonhoeffer: «Non trovi anche tu che la maggior parte delle persone non sanno a partire da cosa vivono? Vivere partendo dalla risurrezione: questo significa Pasqua».
Correre per la vita

©JeSuisLautre

Qualcuno ha detto che le religioni non solo non hanno mai salvato gli uomini, ma qualche volta hanno pure rovinato l’umanità. E io penso che sia, almeno in parte, vero. Altri, invece, che la religione è l’oppio del popolo, e la nostra vita di fede sopita, senza passioni né slanci, a costo zero, ahimè ne è troppo spesso la riprova concreta. Gesù non è il fondatore di una delle tante e nobilissime (in realtà non sempre nobilissime) religioni, che magari cercano un posto al sole tra i potenti di questa Terra, nella pretesa non solo di educare le coscienze e testimoniare un certo stile di vita e di relazioni tra Dio e gli uomini e tra gli uomini tra di loro, ma anche di contare qualcosa.

Cristo è la fede prima di diventare religione, la vita prima dei riti codificati, l’uomo intero prima della nostra pigra distinzione tra interiorità ed esteriorità. Non è l’aldilà, ma l’al di qua, e se è l’al di là di qualcosa, lo è solo per l’al di qua, per modellarlo nella speranza dei beni futuri. È la salvezza donata che ti rivolta come un calzino, prima di essere, o forse non essendo ormai più, un’ipotesi storica o scientifica, persino religiosa: un avvenimento, una persona, vero Dio e vero uomo, che porta nella storia una speranza mai prima sperimentata dagli uomini. 

Gesù non ci chiama a una nuova religione, ma alla pienezza di una «vita-per-gli-altri»! Non è in cerca di adepti per un club esclusivo, ma di uomini e donne disposti a mettersi in gioco con lui. Infatti, il Dio che è con noi è, allo stesso tempo e paradossalmente, il Dio che ci abbandona. Che si lascia cacciare fuori dal mondo appeso a una croce, e solo così, attraverso la sua impotenza che non ci umilia né ci annichilisce, ci restituisce la nostra umanità che non è poi tanto diversa da questa stessa impotenza. La risurrezione non è solo la risposta o addirittura la soluzione del problema della morte. Quasi Dio stesse semplicemente relegato ai confini estremi delle nostre misere vite, e non piuttosto al centro di esse!

Per questo è beato l’incredulo Tommaso, che sa che il Cristo, pur risorto, deve restare «carnale» con tanto di ferite della croce, perché nulla dell’umano Dio butta via. E per questo sono beate le corse della Maddalena, su e giù tra la tomba vuota e il cenacolo (Gv 20, 2), e quelle di Pietro e di Giovanni in senso inverso (Gv 20, 20,4). Ma anche quella di Cleopa e dell’innominato amico da Emmaus a Gerusalemme (Lc 24,33). Quando penso alla Pasqua mi viene in mente l’immagine bellissima (e poco clericale) di questi uomini e donne che corrono. Beato il loro impeto, la loro baldanza, il loro slancio! Questa è la vera «rivoluzione cristiana», senza bisogno di moschetti né stendardi né divise: «Non trovi anche tu che la maggior parte delle persone non sanno a partire da cosa vivono? Vivere partendo dalla risurrezione: questo significa Pasqua» (Dietrich Bonhoeffer).

La morte (non il morire, questo rientra nell’ambito delle possibilità umane) non ha vinto stavolta. L’anno scorso invece neppure. E, a dirla tutta, neanche il prossimo di anno. «Orsù dunque, carissimi fratelli, che siete qui riuniti per festeggiare la Pasqua di Risurrezione, io vi supplico di comperare con il denaro della buona volontà, insieme alle pie donne, gli aromi delle virtù, con i quali possiate ungere le membra di Cristo con l’amabilità della parola e con il profumo del buon esempio. Egli nella risurrezione finale, quando verrà a giudicare il mondo nel fuoco, si svelerà a voi, non dico dieci volte, ma per sempre: in eterno e nei secoli dei secoli lo vedrete come egli è, con lui godrete, con lui regnerete» (sant’Antonio, La Pasqua del Signore).

 

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Data di aggiornamento: 31 Marzo 2021
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