«Io sono qui»
«Un chilo di pomodori costa 12 pesos, ma ne abbiamo comprati due chili e quindi dobbiamo sommare due volte il 12». Adrián Gallego scandisce ogni parola con precisione. Seduti attorno a un lungo tavolo di plastica bianca, una decina di bambini e bambine lo ascoltano con attenzione e tracciano le operazioni sui loro quaderni. Alcuni poi si alzano e vanno da lui per vedere se hanno fatto bene i conti. Siamo nell’aula della escuelita: il progetto scolastico del centro di accoglienza per rifugiati dell’associazione «Hospitalidad y Solidaridad». All’esterno della escuelita l’afa intorpidisce i sensi, ma grazie all’aria condizionata i bambini possono godersi la loro ora di lezione. «Spesso abbiamo a che fare con bambini che non sono andati a scuola per mesi o anche per anni. Qui cerchiamo di restituire loro un senso di normalità», afferma Gallego. «Il mio ruolo è fare in modo che il tempo che trascorrono a scuola sia il migliore del mondo».
Hospitalidad y Solidaridad (HyS) sorge nella periferia sud di Tapachula, una città torrida che dista pochi chilometri dal Guatemala e riceve la maggior parte delle persone migranti che entrano in Messico con la speranza di raggiungere gli Stati Uniti. Per le strade di questa città ci si imbatte in persone che fuggono dal conflitto armato separatista del Camerun, dall’economia fragile dell’Uzbekistan, dal reclutamento forzato di giovani da parte delle gang venezuelane.
Negli ultimi anni in Messico c’è stato un aumento inedito di migranti e rifugiati. Il profilo di chi migra sta però cambiando: se tradizionalmente erano soprattutto uomini soli ad attraversare il Paese, ora è sempre più comune vedere famiglie con bambini e minori non accompagnati. Come registrato dalla Commissione messicana di aiuto ai rifugiati, dal 2020 al 2021 il numero di minori che hanno presentato domanda di asilo in Messico è quadruplicato, passando da circa 8 mila a quasi 32 mila. Da gennaio a maggio 2023, il numero di domande registrate era già superiore a 15 mila. Nonostante ciò, il governo messicano non investe risorse politiche, tecniche e di bilancio sufficienti per garantire un’efficace protezione dei minori migranti. Sono quindi soprattutto le Ong locali o le organizzazioni internazionali – come l’Unicef o l’Unhcr – a offrire programmi di alloggio, educazione e assistenza psicologica a questa popolazione particolarmente vulnerabile, che rischia di essere resa invisibile.
«I bambini si accorgono se c’è un ritardo con il permesso di soggiorno, se il papà o la mamma sono preoccupati, se non hanno soldi. Non toccano molto il tema, ma all’improvviso te ne parlano con il linguaggio di un adulto», spiega Nimsi Arroyo, responsabile della comunicazione di HyS. Arroyo è anche la conduttrice del podcast Ruta Multicultural (Cammino multiculturale), un programma radiofonico che costruisce insieme agli ospiti di HyS. Dare un registratore ai più giovani ha un effetto dirompente: giocando a essere giornalisti e giornaliste per un giorno, intervistano gli adulti, cantano pezzi di reggaeton e narrano storie. Un giorno, ricorda Arroyo, una bimba di 10 anni le ha voluto raccontare «la storia di quando ho attraversato una giungla chiamata Darién». Come il Mar Mediterraneo, il Darién – la fitta selva che separa la Colombia da Panama – è una di quelle geografie di frontiera marcate dalla morte. Attraversarla significa esporsi per giorni alla presenza di animali selvatici e gruppi di trafficanti di persone, alla mancanza di acqua e di cibo. Come elemento ludico, la «radio» permette ai bambini di ricostruire una narrativa propria, nominando, ad esempio, qualcosa che gli ha fatto sentire paura. «È molto importante spiegare ai bambini che possono dire “ho lasciato il mio Paese per il tal motivo”. Se diventa un tabù, possono esserci forti ripercussioni emotive», osserva Fernanda Acevedo, coordinatrice generale di HyS.
Dal 2021 il Messico ha vietato la detenzione e la deportazione dei minori migranti senza che prima venga realizzata un’attenta valutazione di ogni caso. Queste pratiche però continuano. «Questa avrebbe dovuto essere una politica all’avanguardia che privilegia l’interesse superiore del minore, ma ciò che vediamo nella pratica è che i bambini stanno scontando la politica di contenimento dei flussi migratori», segnala Rosalba Rivera, «integrante» dell’Instituto para las Mujeres en la Migración. Secondo l’esperta, è urgente che le autorità smettano di adottare un approccio adultocentrico, autoritario e paternalista nei confronti dei giovani migranti. «Bisogna creare le condizioni per ascoltare i bambini dalla loro posizione di bambini, generare fiducia ed empatia e ascoltare ciò che vogliono», dice Rivera, «perché alcuni diranno che vogliono tornare nel loro Paese perché sentono la mancanza della loro famiglia e altri diranno che non vogliono tornare perché non si sentono al sicuro e noi dobbiamo trovare un modo per trovare uno spazio sicuro per questi bambini».
Quello che più colpisce quando si entra nella escuelita di Hospitalidad y Solidaridad è il murale di un grande albero che, al posto delle foglie, ha decine di orme di mani variopinte. Le fanno le bambine e i bambini poco prima di lasciare il Centro di accoglienza. «Considerando il processo di sradicamento così terribile che vivono, avere questi piccoli rituali può dare un po’ di stabilità», dice Arroyo. In questo lembo della frontiera meridionale messicana, pieno di storie dolorose, queste impronte infantili rivendicano il diritto di poter costruire altrove una vita felice e sicura, e affermano: «Noi siamo qui».
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