Una Chiesa per tutti
Poco tempo dopo il Pellegrinaggio giubilare promosso dall’Associazione «La Tenda di Gionata» (5-7 settembre 2025) abbiamo ricevuto alcune testimonianze su questa esperienza. Negli ultimi anni, è cresciuta l’attenzione della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali, transgender, o con altri orientamenti sessuali (a cui oggi ci si riferisce con la sigla LGBTQI+), spesso oggetto di discriminazione e di rifiuto anche da parte di altre persone all’interno Chiesa stessa. Come ha ricordato anni fa papa Francesco «la Chiesa è una madre e chiama a raccolta tutti i suoi figli. Prendiamo ad esempio la parabola degli invitati al banchetto: i giusti, i peccatori, i ricchi e i poveri. Una Chiesa «selettiva» non è la Santa Madre Chiesa, ma piuttosto una setta». Sono nate varie associazioni a servizio dell’accoglienza e della formazione dei cristiani LGBT, favorendo percorsi per loro, per i familiari e per gli operatori pastorali. Una di esse è «La Tenda di Gionata», fondata nel 2018 da alcuni volontari del Progetto Gionata, cha ha come scopo quello di «far “conoscere il cammino che i cristiani LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) fanno ogni giorno nelle loro comunità e nelle varie Chiese”, in modo che queste esperienze possano aiutare la società e le Chiese ad aprirsi alla comprensione e all’accoglienza delle persone omosessuali».
Testimonianza di Stefania
Buongiorno, sono Stefania, la mamma di un ragazzo omoaffettivo, e ho partecipato dal 5 al 7 settembre a Roma al Pellegrinaggio promosso dall’associazione «La Tenda di Gionata» insieme ad altre associazioni e in collaborazione con i padri gesuiti; condivido con voi la mia testimonianza su quanto ho vissuto. Denominato «Chiesa casa per tutti a partire dalle frontiere», questo evento giubilare è stato dedicato ai cristiani LGBTQI+, ai loro famigliari e agli operatori pastorali che li accompagnano spiritualmente, ma anche alle persone credenti conviventi e divorziate, e ha proposto un programma ricco e intenso. Venerdì sera ci siamo trovati nella Chiesa del Gesù, sede dei gesuiti, dove si è svolta la veglia di preghiera. Abbiamo iniziato accogliendo la croce portata dai pellegrini LGBTQI+ e i loro genitori che da Terracina hanno percorso, zaino in spalla, oltre cento chilometri sulla via Francigena sud. A seguire, un alternarsi di letture del Vangelo, preghiere e testimonianze, in diverse lingue: italiano, francese, inglese, spagnolo. E sì, i pellegrini sono arrivati proprio da tutto il mondo! Unici assenti sono stati gli amici africani perché purtroppo, a loro, le autorità dei loro Paesi hanno negato il visto di uscita. Tra le testimonianze proposte durante la veglia, particolarmente emozionante è stata quella di una coppia di ragazze lesbiche, le quali hanno raccontato il loro amore vissuto alla luce del sole, nonostante sia stato raccomandato loro di evitarlo a motivo del loro impegno nella pastorale della loro comunità. Incoraggianti sono state le parole di p. James Martin, gesuita statunitense impegnato da molti anni nella pastorale con persone LGBTQI+, che nel suo intervento ci ha testimoniato l’ascolto attento mostrato da papa Leone durante l’udienza avuta con lui il 1° settembre scorso. Infine ha intenerito il cuore dei presenti la testimonianza di una mamma con due figli, un ragazzo transgender e una ragazza omoaffettiva.
Sabato mattina ci attendeva un secondo appuntamento importantissimo: la celebrazione eucaristica presieduta dal vice presidente della CEI monsignor Francesco Savino e concelebrata da numerosi sacerdoti. Il celebrante ha ricordato che quello del Giubileo, nella tradizione ebraica, era l’anno della restituzione delle terre a coloro a cui erano state sottratte, della remissione dei debiti, della liberazione degli schiavi e dei prigionieri, un tempo in cui liberare gli oppressi e restituire la dignità a coloro a cui era stata negata. Alla luce di tutto questo, con emozione ha affermato: «È l’ora di restituire dignità a tutti, soprattutto a coloro a cui è stata negata». Che dire? Sì è meritato la standing ovation e un lungo applauso accorato, perché con queste parole ha profuso speranza e senso di accoglienza. Guardando i volti dei 1400 pellegrini presenti nella Chiesa del Gesù, mons. Savino ha fatto sue le loro fatiche, i rifiuti ricevuti, le sofferenze, le attese, i silenzi, ma anche la forza del loro amore. Non a caso sulle magliette dei partecipanti erano stampate le parole «Nell’amore non c’è timore». «Non ho mai visto così tante persone contente di partecipare a una messa!», mi ha detto mio marito dopo la celebrazione… e aveva proprio ragione! Nel pomeriggio ci siamo dati appuntamento a piazza Pia e con la nostra croce abbiamo percorso via della Conciliazione fino ad attraversare la Porta Santa, chi piangendo, chi pregando, chi sorridendo, chi cantando, chi ricordando il fondamentale contributo di papa Francesco per arrivare a questo momento.
Domenica mattina, diversi pellegrini dell’associazione si sono ritrovati in piazza San Pietro per partecipare alla cerimonia di santificazione di Carlo Acutis e Piergiorgio Frassati, presieduta da papa Leone, e ascoltare l’Angelus. È stata un'esperienza molto particolare, a tratti commovente. Non ho mai partecipato a un pellegrinaggio giubilare. Probabilmente, se non fossi la mamma di un ragazzo omoaffettivo, non avrei sentito la necessità di fare questo pellegrinaggio. Posso dire con assoluta certezza che sono tornata a casa con il cuore colmo, più determinata nell’impegno attivo e come cristiana.
Emozione su emozione ha aggiunto la consapevolezza che, mentre eravamo in pellegrinaggio a Roma, in tutte le messe festive nella nostra comunità si pregava così: «Perché le persone colpite da discriminazione per il loro orientamento sessuale, che in questi giorni, con i loro famigliari, le associazioni cattoliche e gli operatori pastorali che li accompagnano hanno attraversato la porta Santa, sperimentino sincera accoglienza nel riconoscimento della comune dignità di figli di Dio in una chiesa che è casa per tutti». Don Michele e i fratelli e le sorelle di comunità ci hanno sostenuto. Sono convinta che saremo segni viventi di quell’arcobaleno che ci ricorda l’amore di Dio.
Testimonianza di suor Enrica
Sono Suor Enrica Solmi, una suora di una piccola famiglia religiosa francescana dell’Emilia-Romagna che nel 2019 ha avuto la gioia e la grazia di incontrare i giovani cristiani LGBTQIA+ (acronimo usato per rappresentare un insieme di identità sessuali e di genere, che include le persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer o Questioning, Intersessuali, Asessuali, e il simbolo + che sta per tutte le altre identità di genere e orientamenti sessuali non esplicitamente nominati, n.d.r.) e le loro famiglie. Fino a quel momento questa realtà era per me un mondo completamente sconosciuto, abitato da pregiudizi e pensieri comuni e tradizionali. L’incontro con le loro storie, fatiche, sofferenze e speranze mi ha aperto la mente e il cuore e mi sono trovata a camminare con persone animate dal mio stesso desiderio di vita: mettere i piedi sulle orme del Vangelo e della Chiesa.
Questo cammino mi ha portato a vivere la bellissima esperienza del Pellegrinaggio Giubilare della realtà LGBTQIA+ di sabato 6 settembre 2025, di cui voglio rendere testimonianza. Inizio questo mio racconto da una domanda: da dove siamo partiti per arrivare a Roma il 6 settembre 2025? È un cammino iniziato molto tempo fa, che ci ha portato alla consapevolezza di essere «un popolo amato da Dio». Dal silenzio e dalla solitudine del deserto vissuta per tanti anni siamo usciti prendendoci per mano e lasciandoci ogni forma di «schiavitù» e di pregiudizio alle spalle. Insieme abbiamo raggiunto la «terra promessa» e siamo diventati un popolo, un popolo nato da un lungo cammino di narrazione di storie. La terra di questo popolo è il cuore di Dio dal quale siamo stati amati e creati unici ed irripetibili.
La realtà di popolo è quello che ho percepito a Roma, un insieme di persone che si sono riconosciute nella loro identità e bellezza, che hanno voluto esserci per dirsi liberamente. Tutti ci hanno guardato, e spero lo abbiano fatto con uno sguardo nuovo che sana le ferite dei pregiudizi e delle discriminazioni, ma prima di tutto ci siamo guardati noi, ci siamo nutriti dei nostri sguardi, sorrisi, lacrime e abbracci. Insieme abbiamo attraversato la Porta Santa, «il fiume Giordano», che ci ha introdotti nella terra della salvezza.
Ora è il tempo di vivere quanto è scritto nella Prima Lettera di San Giovanni evangelista: «Ciò che era da principio, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo visto con gli occhi, ciò che abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato riguardo la Parola della vita, ciò che abbiamo visto e udito annunciamo anche a voi». Ora è il tempo di narrare ciò che abbiamo vissuto e toccato, perché anche altri possano conoscere, capire ed essere nella nostra gioia. È il tempo di lavorare, perché le parole “casa e cura” della nostra Chiesa siano sempre di più anche le nostre. Una Chiesa “casa” dove sentire la sua “cura”.
Quando siamo arrivati in San Pietro ho guardato il colonnato della piazza, che rappresenta le braccia materne della Chiesa che accoglie i suoi fedeli, e mi sono detta: non mi stringere solo oggi, ma tienimi in braccio sempre, perché è iniziato un nuovo cammino insieme. Un nuovo cammino che porti ad una teologia e ad una revisione del catechismo della Chiesa Cattolica in quei passi dove si parla della omosessualità in modo negativo e non come una realtà costitutiva della persona, affinché possa guidare la pastorale e non entrare in contrasto con essa. Da una pastorale accogliente a parole nuove e inclusive.
Testimonianza di Tiziano
Mi chiamo Tiziano Fani Braga e sono un cristiano LGBT+, coordinatore di un gruppo presente a Roma e uno degli organizzatori del pellegrinaggio. Scrivo per condividere la profonda esperienza vissuta durante il Pellegrinaggio Giubilare de “La Tenda di Gionata e altre associazioni”, un evento che ha segnato un momento storico non solo per noi partecipanti, ma per la Chiesa intera. È stato un cammino di fede e dignità, fatto di incontri, abbracci e sostegno reciproco, in cui ognuno ha potuto sentirsi a casa.
Abbiamo costruito le nostre vite mattone dopo mattone, affrontando delusioni e sofferenze, ma siamo consapevoli della nostra profonda dignità di esseri umani fatti a "immagine e somiglianza di Dio". Le accuse più dolorose, quelle di essere "contro natura", hanno ferito a fondo, ma se Dio ci ha voluti così e ha scritto una storia meravigliosa anche sulle nostre fragilità, come potremmo mai considerarci sbagliati? Non lo siamo. Siamo esseri "stupendi", come ho potuto constatare incrociando gli occhi e i sorrisi di persone arrivate da ogni parte del mondo. Ci siamo sentiti come il popolo d'Israele davanti al Mar Rosso: ciò che sembrava insormontabile è stato aperto e ora possiamo camminare, protetti dal Signore, pur sapendo che i nostri detrattori sono ancora alle nostre spalle.
Un momento che mi ha toccato nel profondo è stata la messa celebrata da Sua Eccellenza Mons. Francesco Savino, che ringrazio di cuore per le sue parole, un balsamo per l'anima. Le sue parole, «È l'ora di restituire dignità a tutti, soprattutto a chi è stata negata», sono risuonate nei nostri cuori come una carezza. Insieme, cerchiamo di costruire la Chiesa dal basso, per portare questo messaggio in alto.
Personalmente, ho avuto un percorso travagliato: dopo un coming out, ho cercato una "guarigione" nel matrimonio, mettendo da parte me stesso per anni. Ma il Signore mi ha donato una donna buona e, dopo 6 anni, un figlio, che mi ha fatto comprendere la mia piena dignità. Da lì, il mio coming out pubblico, l'allontanamento dalla realtà d'origine e l'inizio di un nuovo cammino nella pastorale LGBT+ e come Piccolo Fratello dell'Accoglienza a Roma, sul carisma di San Charles de Foucauld.
È dalle nostre comunità, dalle nostre famiglie e dai nostri fratelli nella fede che dobbiamo ripartire. Questo pellegrinaggio è stato un momento di comunione da riversare nelle nostre realtà. Un'immagine indelebile rimarrà impressa nella mia memoria: il momento in cui, recitando il Credo sulla tomba di Pietro, ho pianto lacrime di gioia e di dolore. Mentre sostenevo il peso della croce di legno con il Cristo Re glorioso, quelle parole mi sono entrate fin nelle ossa. Mi sono sentito sollevato e abbracciato da Lui, con la certezza che questa Chiesa è davvero la casa per tutti: per chi è al centro e per chi, come noi, si trova alle frontiere esistenziali.
La Chiesa è una madre: imperfetta e a volte ferita dai suoi stessi errori, ma proprio per questo non la rinnego, perché la amo e perché la Chiesa siamo anche noi. Sarebbe un dono se questa testimonianza potesse arrivare a Sua Santità Papa Leone, per rafforzare l'idea che l'accoglienza è il pilastro su cui ricostruire.
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