Impariamo a vivere bene

Ricominciamo dall’interiorità, ribellandoci contro la superficialità, l’inconsistenza morale, contro gli incantesimi paralizzanti del Nulla. Perché la vera gioia la troviamo dentro di noi.
15 Dicembre 2025 | di

L’uomo tecnologico, nucleare, telematico sembra avere sconfitto quasi tutti i nemici, tranne la sua paura. Un’angoscia sottile e pervasiva minaccia costantemente la ricerca affannosa di felicità, e il benessere raggiunto, almeno in Occidente, non sembra in grado di contrastare la paura del nulla e dell’insignificanza della vita, che aleggia subdolamente sulla testa di tanti uomini e donne del nostro tempo. L’angoscia che attanaglia il nostro tempo non è più solo una questione privata della singola persona, ma, come affermava lo psichiatra Viktor Emil von Gebsattel, già negli anni Sessanta: «L’umanità occidentale in generale è immersa nell’angoscia e nella paura […]. L’invadenza del fenomeno dell’angoscia, che da cento anni cresce vertiginosamente, ha raggiunto un’intensità mai sperimentata fino a oggi» (Cit. in E. Borgna, Le figure dell’ansia, Feltrinelli 1997).

Angoscia deriva dal latino angustia, che significa «strettezza». A sua volta, angustia deriva dal verbo angere, che significa «stringere». Siamo stretti, costretti, quasi rattrappiti tra il nostro desiderio di una vita bella e ricca di senso e una cultura mortifera che propaga un veleno raffinato e inodore di nichilismo e narcisismo, con flebo quotidiane di volgarità, proposte di modelli vuoti o inconsistenti e una persistente educazione a trascurare ciò che rende la vita più umana e degna di essere vissuta. I nostri giovani nascono e crescono in un mondo ostile, dove il futuro è vissuto più come una minaccia che come una speranza. Scrive acutamente Marco Guzzi, filosofo e fondatore dei Gruppi «Darsi pace»: «Le nostre società occidentali, affossate nelle melme di un pragmatismo mercantile, borsistico e predatorio, nutrito a sua volta da un pensiero riduzionistico e votato all’insensatezza, sono società profondamente malate, e di una malattia terminale» (M. Guzzi, Alla ricerca del continente della gioia. La rivoluzione del XXI secolo, Paoline 2019).

Siamo di fronte, forse come mai era accaduto prima di adesso, a una emergenza educativa che manifesta i suoi effetti distruttivi in ogni ambito della vita sociale, dalla depressione endemica alla denatalità, dai rigurgiti razzistici ai neofondamentalismi religiosi (Ivi, p. 85). Siamo chiamati a ripensare il nostro modo di stare al mondo, il nostro modo di vivere le relazioni affettive e sociali, i modelli economici e politici: un nuovo progetto educativo, una rivoluzione incruenta e pacifica che ci permetta di superare questa crisi antropologica e culturale e di rimettere al centro la dignità della persona umana.

Tutto questo guardando avanti, superando le tentazioni nostalgiche di «come si stava meglio quando si stava peggio». Indietro non si torna: «Il progetto della civiltà tecnico-scientifica occidentale è una scelta ormai fatale per l’umanità. Noi non possiamo più continuare a svilupparlo come abbiamo fatto finora, perché ciò significherebbe andare incontro a catastrofi planetarie. Ma non possiamo nemmeno sottrarci a questo progetto, abbandonando il mondo alla rovina. L’unica strada percorribile è quella di una ristrutturazione di fondo dello stesso mondo moderno. E allora reinventiamo questo mondo» (J. Moltmann, Dio nel progetto del mondo moderno, Queriniana 1999).

Reinventare questo mondo significa ripensare noi stessi e il senso della nostra umanità. Ma da dove cominciare? Da una rivoluzione interiore, come sosteneva il mio illustre concittadino Tiziano Terzani, che consenta di uscire dall’alienazione perpetua, dal vivacchiare fuori da se stessi, nell’illusione fatua di sconfiggere l’angoscia e beffare la nostra mortalità. Imparare l’arte di vivere, di coltivare il nostro cuore estirpando ogni giorno le erbacce che lo soffocano, ritrovare un baricentro interiore e una stella polare che orienti i nostri passi sulla via della speranza. Bella la proposta del filosofo e sociologo francese Edgar Morin, ormai centenario, nel suo Manifesto per cambiare l’educazione: «Bisognerebbe introdurre nella preoccupazione pedagogica il vivere bene, il “saper vivere”, “l’arte di vivere” e ciò diviene sempre più necessario nel degrado della qualità della vita sotto il regno del calcolo e della quantità, nella burocratizzazione dei costumi, nei progressi dell’anonimato, della meccanizzazione nella quale l’essere umano è trattato come un oggetto, nell’accelerazione generale, dal fast-food fino alla vita sempre più cronometrata. Arriviamo all’idea che l’aspirazione al ben vivere richiede l’insegnamento di un saper vivere nella nostra civiltà” (E Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina Editore, 2015). 

C’è un passaggio molto significativo anche nelle Epistole di Seneca a Lucilio: «Disce gaudere, impara a godere… desidero che non ti manchi mai la gioia, anzi che ti nasca in casa; e nascerà purché essa sia entro te stesso… Essa non ti verrà mai meno, una volta che ne avrai trovato la sorgente… Mira al vero bene e gioisci di ciò che ti appartiene» (Cit. in S. Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, op. cit., – il grassetto è mio). Seneca dice a Lucilio due cose molto importanti: la prima è che la gioia va trovata dentro di sé, non è qualcosa che giunge dall’esterno; la seconda è che la gioia non verrà mai meno una volta che Lucilio ne abbia trovato la sorgente. 

Ricominciare, dunque, dall’interiorità, ribellarsi contro la superficialità, l’inconsistenza morale, liberarsi dagli incantesimi paralizzanti del Nulla, dalla vanità di questo mondo che promette ma che non è in grado di mantenere. Ritrovare la sorgente, abbeverarsi a quella fonte che sola sazierà la nostra sete in eterno. Quello che Gesù ha promesso alla donna samaritana oggi lo dice a ciascuno di noi: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,13-14).

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Data di aggiornamento: 15 Dicembre 2025

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