Le pieghe del corpo
È arrivato giugno, tempo d’estate alle porte, le giornate sono sempre più lunghe e il sole sempre più luminoso. E la voglia di starsene in canotta aumenta, pronti a rilassarsi e a godersi i primi soffi di vento caldo sulla pelle… Chissà chi di noi, durante un falò sulla spiaggia, non ha almeno una volta immaginato che cosa si celasse sotto «a quella sua maglietta fina» che cantava Baglioni… E chissà che cosa penseremmo adesso se sotto quella maglietta ci fosse il corpo di una persona con disabilità… Sarebbe lo stesso o cambierebbe qualcosa?
E, soprattutto, se volessimo andare ancora più oltre e ribaltare il punto di vista, qual è, invece, la percezione del corpo che hanno le persone con disabilità? Una domanda, quest’ultima, che appartiene a tanti anche se non sempre trova l’occasione per palesarsi e concretizzarsi. Perché se è vero che il corpo è il nostro tempio è anche vero che quello di chi vive su di sé una disabilità non sempre gli appartiene del tutto, ogni giorno maneggiato da altri, per ragioni di assistenza, per sopperire ai suoi bisogni fondamentali.
Il corpo è qualcosa che si tocca ma è anche qualcosa che si guarda e che come tale può essere oggetto o soggetto dello sguardo dell’altro, una questione che riguarda intimamente l’immagine che abbiamo di noi stessi. Imparare a nominare, conoscere e comprendere il corpo è fondamentale per la costruzione dell’identità.
Perché, come affermava l’ex presidente dell’Aniep Gianni Selleri «quando un disabile ha una percezione equilibrata e di accettazione della propria situazione, più facilmente è portato a credere che gli altri lo guardino perché si incuriosiscono di alcune cose, ad esempio della protesi, della carrozzina, dei suoi movimenti, della deambulazione particolare».
«Se invece egli rifiuta la sua menomazione o se ne vergogna, tenderà a percepire la curiosità degli altri in modo umiliante, pensando di essere considerato in maniera negativa, con disprezzo e pietà». La nostra percezione del corpo, insomma, vive prima di tutto di consapevolezza, di accettazione di come siamo, di quelli che sono i nostri limiti e risorse e di come preferiamo farne uso.
Acquisire tutto questo è un percorso lungo e complesso, un vero e proprio viaggio tra le pieghe delle ferite, delle potenzialità, del piacere e del benessere. Il corpo deve vivere e relazionarsi, deve sapere come provare piacere, aspetti troppo spesso trascurati nel caso delle persone con disabilità, dove troppo superficialmente il corpo viene ridotto a oggetto di cura.
Corpo, identità, consapevolezza. Temi sui quali lavora da anni e in modo approfondito il Centro documentazione handicap, di Bologna, un cammino che la mia giovane collega Francesca riassume così, con parole semplici ma efficaci. «All’inizio di questo percorso mi sentivo davvero un pesce fuor d’acqua… Ammetto di non conoscere per niente il mio corpo dunque ero molto imbarazzata, e avevo paura di scoprire me stessa. Ho capito che in futuro mi servirà molto conoscermi bene per iniziare un percorso di accettazione».