C’è sempre del bene…
Maggio è proprio bello!
Sarà perché è intriso di bellezza grazie all’erba fresca, appena sottrattasi alle morse del freddo, al cielo azzurro solcato da guizzanti nuvole, passando per tutte le gradazioni di fiori, animali e persone. Sarà perché porte e finestre ricominciano a essere lasciate più o meno sbadatamente aperte, e il luogo in cui abitiamo con i nostri cari riprende a inspirare ed espirare regolarmente. Maggio, insomma, non è un mese eroico, né da imprese straordinarie che verranno sfacciate nei mesi estivi. Ma forse è proprio ciò di cui sentivamo bisogno: questo quasi nulla che costituisce la bellezza del quotidiano!
Sarà anche perché è il mese delle rose, nelle nostre care tradizioni dedicato alla figura di Maria, mamma di Cristo e di ciascuno di noi suoi fratelli, alla quale tanti rosari (e con essi invocazioni, ansie, domande ma anche ringraziamenti) vengono fiduciosamente sgranati, nelle nostre case o negli angoli più impensabili dei nostri paesi, purché vi sia anche un modesto capitello mariano.
Che forte, c’è Spirito di vita in giro!
C’è la domenica di Pentecoste, quella del Corpus Domini e pure dell’Ascensione. Qui non si capisce più cosa è «su» e cosa è «giù», cosa sta in alto, dove solitamente mettiamo Dio ad abitare, e cosa sta in basso, dove dimoriamo noi poveri meschini. La sensazione è che se pure non c’è niente di nuovo sotto il sole, come mesto sentenzia il Qoelet (1,9), beh, di sopra, ai piani di Dio, sta cambiando tutto!
C’è del bene, c’è sempre del bene.
Da salvaguardare, da scovare, da far crescere, da indicare, da coccolare, da preservare, da sognare, da condividere con qualcuno, da costruire piano piano, di cui appassionarsi. Da contrapporre, reazione uguale ma contraria, al male. Anzi, in quest’ultimo caso ce n’è persino di più, in abbondanza. Sono ingenuo o idealista? Non vedo la realtà attorno a me? Perché ci sarà sempre del bene? Ma perché Dio, che è buono (Lc 18,19), c’è sempre! Poi, come si era detto al Sinodo sulla famiglia del 2015 (Relazione finale n. 28), ci sarà qualcuno che farà da «faro», che magari avrà il dono di qualche certezza in più rispetto a noi e ritmerà la nostra direzione. Qualcuno invece da «fiaccola», che camminerà con noi e con noi cercherà. Ma, aggiungo io, altri con il compito di provare a mettere insieme i pezzi, far combaciare il più possibile frammenti di verità con dubbi e aspirazioni. Insomma, ripartire dalle rovine che talvolta ci circondano (molte altre volte, ahimè, assai reali e polverose, lì dove ancora la violenza e la guerra provano a farla da padrona). Le rovine potrebbero anche essere il materiale grezzo per costruire con fiducia e fantasia il bene futuro.
Nel nostro linguaggio c’è anche, o meglio c’è ancora, il congiuntivo (e che, in tempi di certezze che si vorrebbero assolute, questo vecchio «tempo verbale» scarseggi nei nostri discorsi vorrà pur dire qualcosa): il verbo della fragilità, dell’indefinitezza, della possibilità, delle congiunzioni seppur di vario tipo, avversative, esplicative, ma mai e poi mai conclusive o definitive.
L’arte giapponese del kintsugi
È la malta per tenere assieme il tutto che scarseggia. Questa no non ce l’abbiamo. La dobbiamo chiedere. È un po’ come nell’arte giapponese del kintsugi, letteralmente «riparare con l’oro», che consiste nell’utilizzo di oro liquido per la riparazione di tazze in ceramica, usando il prezioso metallo per saldare assieme i frammenti. Non si butta via niente, ma dall’imperfezione e da una ferita può nascere una forma ancora maggiore di bellezza!
Sì, c’è ancora del bene da qualche parte, da cui ricominciare. Non possiamo pur sempre benedire chi ci sta accanto?! Visto che siamo così facili a maledire…
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