Storia di Maslah
Un centinaio di volontari e rifugiati si sono riuniti a Roma per l’ultimo saluto ad Aden Maslah Mohamed, 19 anni. Nessuno dimenticherà il suo sorriso. Nulla ti fa sentire più sconfitto del suicidio di un amico.
Prima della sepoltura nella zona musulmana del cimitero di Prima Porta, l’hanno accompagnato in moschea. Guidando la preghiera, un imam ha detto: «Allah ti accoglierà nella sua misericordia».
Non è una frase trascurabile, per un suicida. Credo sia giusto scrivere di lui per capire come gli Accordi di Dublino possano influire sulla vita (e la morte) delle persone. È importante anche raccontare come, nonostante leggi sbagliate e autorità poco sensibili, la giustizia conviva con la misericordia tra gli esseri umani.
Per scappare dalla Somalia in guerra, Maslah ha affrontato un duro viaggio. Ha attraversato il deserto e raggiunto la Libia, dove è stato sequestrato e rinchiuso. Ha resistito a violenze e umiliazioni, prima di poter pagare il passaggio per l’Italia, senza la certezza di arrivare. In Italia è stato soccorso e identificato.
Arrivato a Roma, ha vissuto alcuni mesi aiutato dai volontari di «Baobab». Sembra, però, che ostacolare chi aiuta i rifugiati aiuti a vincere le elezioni, così Maslah ha visto uomini in divisa gettare nei camion della nettezza urbana i suoi oggetti e quelli degli altri, donati dai cittadini, nello sgombero di via Cupa.
Abituato a resistere, non ha smesso di sorridere nemmeno quando la scena si è ripetuta altre volte, nel luogo che il Comune aveva individuato per la permanenza dei transitanti, ma senza dotarlo di strutture adeguate. Resisteva perché il suo sogno non era restare, ma andare altrove in Europa.
Maslah sorrideva anche a gennaio, salutando gli amici prima di partire. Arrivato in Belgio è stato fermato e rispedito in Italia in applicazione degli accordi di Dublino che prevedono il ritorno forzato nel Paese di prima identificazione. Riportato in Italia, ha smesso di sorridere e la notte del 14 marzo si è ucciso.