Dell’umiltà si è detto molto. Ma spesso, soprattutto al giorno d’oggi, la si dipinge come una caratteristica (non certo una virtù) da rifuggire, tipica di persone rinunciatarie, «perdenti». E invece l’umiltà è tutt’altro, come spiega benissimo il libro di Francesc Torralba Roselló, Umiltà. Una virtù discreta. La parola deriva da humus, terra, e sta quindi a indicare un’attitudine molto concreta, che, appunto, ci «radica» nella vita dandoci una solidità che di rinunciatario non ha proprio nulla.
Una lettura che permette di entrare in modo originale nel testo biblico, attraverso l’incontro con eventi scomodi: inganni, tradimenti, malefatte e sotterfugi mostrano un lato poco edificante, ma sono occasioni per il manifestarsi della misericordia di Dio, capace di trasformarle in luogo di salvezza. Ciascun capitolo del libro, corrispondente a uno dei personaggi, si apre con un brano di riferimento, corredato da informazioni religiose, storiche, culturali e da un commento.
«La buona battaglia contro il male non è una disciplina di auto-dominio; è, piuttosto, una apertura al rapporto con Dio». Ecco un filo conduttore dell’ultimo libro di Fabio Rosini, prete romano noto per il percorso sul Decalogo, attualmente direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma. Il combattimento di cui Rosini parla non è contro nessun essere umano, ma per ogni essere umano: è, infatti, la battaglia spirituale da condurre contro il male che ci insidia.
«Nell’amicizia siamo sacramento gli uni per gli altri dell’amore di Dio». In queste parole di padre Paolo Dall’Oglio cogliamo un’intuizione che ha animato la sua missione nel mondo musulmano, e si è sviluppata nella ricostruzione del monastero di san Mosè l’Abissino (Deir Mar Musa, vicino a Nebek, in Siria) e nella formazione di una comunità dedita alla vita di preghiera, al lavoro manuale e all’ospitalità aperta a tutti.
Chi è Cristo? Chi è Dio? Queste domande risuonano nella vicenda di alcuni personaggi dei più noti romanzi di Dostoevskij. Esse non sono mai poste in astratto, ma sempre collocate in una situazione concreta, spesso travagliata e sofferta, nella quale diventa prioritaria la ricerca dell’essenziale. L’incontro con le immagini di Dio e di Cristo avviene attraverso opere artistiche o letture ascoltate che anche oggi danno l’occasione di riflettere sulla propria esperienza esistenziale.
Riuscire a parlare di morte, parlando di vita. Non è facile, eppure lui ci riesce magnificamente. Il lui in questione è padre Guidalberto Bormolini, antropologo, tanatologo, nonché religioso dei Ricostruttori nella preghiera, un ordine relativamente recente (nato negli anni ’80 del secolo scorso, a opera del gesuita Gian Vittorio Cappelletto), che fa della «ricostruzione» (esteriore: casali e vecchie abbazie abbandonate; e interiore: l’unità tra corpo, mente e spirito) il suo specifico.