L'arte della buona battaglia
«La buona battaglia contro il male non è una disciplina di auto-dominio; è, piuttosto, una apertura al rapporto con Dio». Ecco un filo conduttore dell’ultimo libro di Fabio Rosini, prete romano noto per il percorso sul Decalogo, attualmente direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma. Il combattimento di cui Rosini parla non è contro nessun essere umano, ma per ogni essere umano: è, infatti, la battaglia spirituale da condurre contro il male che ci insidia.
Secondo la tradizione orientale, ci sarebbero otto pensieri maligni (i loghismoi), che corrispondono (come nomi) ai sette vizi capitali occidentali, a cui si aggiunge la tristezza (demone subdolo che serpeggia spesso nella nostra società e si manifesta come una sorta di vittimismo «malinconico» e «indifferente a tutto», che rende «incapaci di credere al bene»). La differenza fondamentale tra i due approcci e le loro trattazioni sta nel fatto che in Occidente ci si concentra sugli atti, mentre in Oriente si parte dai pensieri. Lo testimoniano i monaci del deserto e in particolare Evagrio Pontico, da cui il nostro autore attinge ampiamente, riconoscendone la profonda attualità e l’utilità per il cammino di crescita umana e cristiana.
Il testo di Rosini si apre chiarendo sin da subito quale sia il campo di battaglia e chi siano i contendenti in gioco, per poi analizzare lo stile dei pensieri maligni e le «porte» attraverso cui entrano. La sfida in atto è tra la grazia e l’amor proprio (la filautia): è una lotta spirituale, che non ha nulla di magico o di estrinseco. Infatti, Dio non opera nella nostra vita nonostante noi, perché «senza adesione oggettiva e libera non ci sarà mai nessun atto spirituale». Per comprendere l’azione del «nemico» è importante analizzare il sistema degli otto pensieri: Rosini esamina alcuni passaggi di Evagrio, in cui vengono descritti con ampiezza e con toni coloriti i loghismoi e le contromisure a essi, integrando il commento con l’esperienza personale e quella proveniente da biografie di santi come Francesco d’Assisi.
Non siamo di fronte a un manuale teorico, bensì a una proposta di confronto personale e concreto con la realtà del peccato, con l’intento primario di un umile riconoscimento dei propri limiti e della bontà misericordiosa del Padre: «Per fare un santo ci vuole un peccatore».