La notte del Nicaragua
Non riesco a immaginare un Paese come il Nicaragua, profondamente cattolico, senza le processioni della Settimana Santa. Proibite da un regime alla cui testa vi è la coppia presidenziale, Daniel Ortega e Rosario Murillo, come ultimo gesto ostile verso la Chiesa. O, forse, per timore che attorno alla Pasqua, che in Centroamerica è la festa più sacra dell’anno, possa esserci un sussulto di proteste contro la dittatura che asfissia il Nicaragua dopo le ribellioni del 2018.
Negli ultimi anni, lo scontro tra il governo di Managua e la Chiesa è stato aspro, ma, in qualche modo, non aveva oltrepassato limiti di guardia. La Chiesa cercò di interporsi, anche fisicamente, tra chi, nel 2018, chiedeva libertà dalla tirannia e la polizia che arrestava, reprimeva, uccideva. In quella primavera di sangue, nei giorni delle grandi manifestazioni, furono oltre 300 i morti. Per lo più erano ragazzi, studenti delle università. Il cardinale Leopoldo Brenes, alla testa della Chiesa nicaraguense, ha cercato la via della diplomazia. E anche a papa Francesco è stata, a volte, rimproverata troppa cautela verso il regime. Con la proibizione delle processioni pasquali si è probabilmente raggiunto il punto di rottura. Il popolo ama e partecipa con fede e passione a quei cortei sacri e festosi.
Nei mesi scorsi lo scontro è cresciuto: un anno fa, nel marzo del 2022, Ortega aveva ordinato l’espulsione del nunzio apostolico Waldemar Sommertag. Il solo precedente che si ricordi è la cacciata del diplomatico vaticano dalla Cina maoista nel 1951. In America Latina solo il Messico anticlericale, nel 1861, ruppe le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Il governo sandinista ha ordinato la chiusura della nunziatura di Managua e ha ritirato il suo rappresentante in Vaticano. Si precisa che si tratta di una «sospensione», gli effetti sono quelli di una plateale «rottura». Anche per il divieto alle processioni pasquali non vi è un provvedimento ufficiale, ma si moltiplicano le voci dei parroci nicaraguensi che fanno sapere di avere ricevuto la visita di ufficiali di polizia che hanno diffidato i fedeli dal provare a uscire dalla chiesa al Venerdì Santo.
In meno di un mese è crollata anche ogni finzione diplomatica. Ortega, a fine febbraio, non si è nascosto dietro le parole: ha definito la Chiesa, i vescovi, i sacerdoti, perfino il Papa, come «una mafia» colpevole di «crimini e orrori». Papa Francesco ha risposto con durezza, avanzando il sospetto di uno «squilibrio» nella testa del presidente nicaraguense, paragonando il suo regime a una dittatura hitleriana o comunista.
Nel frattempo, il governo toglieva personalità giuridica e obbligava alla chiusura la Caritas e due università cattoliche. Durissima la punizione del vescovo di Matagalpa, Rolando Álvarez: dopo l’arresto avvenuto lo scorso agosto, Ortega aveva deciso di espellerlo dal suo stesso Paese, deportandolo, assieme ad altri 221 prigionieri politici verso gli Stati Uniti. Erano liberi, ma cacciati dal Nicaragua: ogni loro bene confiscato e, infine, sono stati privati della nazionalità. Provvedimenti presi anche contro altri 94 oppositori già in esilio, tra i quali il vescovo ausiliario di Managua, Silvio Baéz. Àlvarez, condotto fino alla passerella dell’aereo, si è rifiutato di salire a bordo: non ha accettato la deportazione. Rimasto a terra, è stato nuovamente imprigionato e, in un giorno, condannato a 26 anni di galera. Ad altri 37 prigionieri di coscienza, secondo le fonti dell’opposizione, non è stata nemmeno offerta la possibilità dell’esilio: sono rimasti in prigione.
Nel frattempo il giornale digitale sandinista «El 19» pubblica in prima pagina la notizia delle visite di leader della Cruzada Evangelizadora. Porte aperte nel Paese a sette religiose. No, non sarà una buona Semana Santa in Nicaragua. Sono gli uomini della Chiesa a mantenere la speranza di una Resurrezione. Dal suo esilio il vescovo Baéz spiega: «Nessuna notte, nella vita, è per sempre».
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!