30 Marzo 2023

Fuga da Bissau

A quasi due anni dal suo sbarco in Italia, oggi Yero è in attesa del permesso di soggiorno per asilo politico. Pensa spesso alla sua famiglia in Guinea Bissau, ma quando ne parla abbassa lo sguardo e gli si inumidiscono gli occhi.

Fuga da Bissau

Yero ha gli 19 anni, la pelle colore dell’ebano e gli occhi tristi. Fatica a guardare la gente in volto e parla lentamente abbassando lo sguardo. Quando era a Bissau aiutava il padre al mercato. La sua famiglia aveva una bancarella di generi alimentari in un quartiere periferico della capitale. Un pomeriggio di maggio – correva il 2009 –, Yero stava aiutando il padre. C’era molta gente quel giorno al mercato e il lavoro procedeva al meglio. Finché dalla calca non spuntarono due ladri armati. Il padre si oppose, ma alla fine uno dei malviventi gli sparò al petto. Yero tentò di intervenire, ma fu ferito all’altezza dell’inguine. Il padre morì dopo qualche ora. Il ragazzo, invece, riuscì a mettersi in salvo, nascondendosi dietro a una vettura parcheggiata poco lontano.

Dopo qualche giorno nascosto in casa con la febbre altissima per via della ferita e della pallottola ancora conficcata nella gamba, il ragazzo decise di fuggire in Senegal. Con l’aiuto della sorella e del fratello, riuscì a racimolare l’equivalente di 115 euro. Zoppicante e con un bagaglio ridotto al minimo, Yero si avventurò su un taxi-brosse fino a Kolda, in Casamance. In Senegal si sentì al sicuro e chiese aiuto a un connazionale vicino di casa. Ricoverato in un ospedale, fu medicato e gli venne estratta la pallottola. Ancora convalescente, Yero decise di prendere il primo autobus diretto a Bamako e avventurarsi in Mali in cerca di lavoro. Per un anno e mezzo lavorò come aiuto meccanico in un garage. Poi si trasferì a Gao, fino alla rivolta tuareg del 2012. Anche il Mali, a causa del colpo di stato e all’offensiva del Movimento Nazionale dell’Azawad, era diventato pericoloso. Ma Yero non si arrese e, grazie all’aiuto di un giovane libico, trovò un passaggio sul cassone di un Toyota pick up diretto in Algeria. A Reggane si fermò tre mesi, lavorando come manovale in un allevamento di montoni. Il tempo necessario per guadagnare un po’ di denaro e proseguire verso la Libia. 

Arrivato nel nord della Libia, Yero trovò lavoro come custode in una fattoria alla periferia della capitale. Ci restò per quattordici mesi, salvo poi essere arrestato dalla polizia, in quanto sprovvisto di documenti. Venne rinchiuso in una cella con altri dieci ragazzi, tutti provenienti dall’Africa sub sahariana. Tra percosse quotidiane da parte degli agenti penitenziari e condizioni di vita ai limiti della sopravvivenza, Yero rimase per tre mesi in cella, fino a quando, tramite un cuoco italiano che lavorava nella cucina delle carceri, chiese aiuto all’Ambasciatore del Senegal. Il diplomatico si rese disponibile a farlo uscire di prigione, in cambio di tutti i suoi risparmi: i seicento dinari libici (circa 390 euro) che gli erano rimasti in tasca. Libero ma spaesato e senza più un soldo, grazie all’aiuto di alcuni ragazzi senegalesi conosciuti durante la detenzione, si integrò nella comunità wolof di Bulsli, un quartiere alla periferia di Tripoli e trovò un impiego: tre mesi di duro lavoro in cambio di un passaggio su una carretta del mare verso l’Italia.

Era il 17 marzo 2014 quando Yero partì da Zuwara su un peschereccio in compagnia di altri venticinque disperati. Il mare non prometteva nulla di buono, onde alte fino a sei metri. Qualcuno cadde in mare, ma la barca continuò la sua corsa verso la Sicilia. A Pozzallo, cittadina a pochi chilometri da Ragusa, arrivarono solo in 22 profughi. I sopravvissuti furono recuperati dalla Polizia di Stato e accompagnati in un centro di prima accoglienza per l’identificazione e la visita medica. A tutti venne consegnato un kit di abbigliamento. Successivamente furono tutti accompagnati in un albergo per riposarsi prima di rimettersi in viaggio, questa volta su un aereo. Destinazione: Milano Malpensa. Un autobus attendeva appena fuori l’aerostazione per accompagnare il carico umano in un albergo di Pavia. Yero restò nella cittadina pavese tre giorni, poi venne trasferito nella comunità di Sant’Angelo Lomellina. Era il 24 marzo 2014 e per il ragazzo dagli occhi tristi e la pelle colore dell’ebano iniziava una nuova vita.

Oggi Yero, a quasi due anni dal suo arrivo in Italia, è in attesa del permesso di soggiorno per asilo politico. Pensa spesso alla sua famiglia, ma quando ne parla, abbassa lo sguardo e gli si inumidiscono gli occhi. Da quando ha lasciato la Guinea Bissau, non ha più avuto contatti, ma tramite un amico sa che stanno tutti bene. Yero ha molte energie e tanta voglia di fare, sta studiando la nostra lingua e gioca a calcio nella formazione della Freedom Team come centrocampista. Come tutti i ragazzi della sua età ha un idolo: il calciatore camerunense, ex giocatore dell’Inter, Samuel Eto’o. Yero ha anche dei sogni: trovare un lavoro e diventare centrocampista della Juventus, prendendo il posto di Marchisio. Maglia bianco nera, numero otto: lo ripete spesso, alzando lo sguardo e accennando un sorriso.

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(In Guinea Bissau, dopo l’indipendenza dal Portogallo, si sono susseguiti golpe militari e una guerra civile durata poco più di un anno. Ancora oggi il Paese soffre di instabilità politica e difficoltà economiche. È al quintultimo posto nell’indice di sviluppo umano, con un tasso di alfabetizzazione che arriva al 40%. La maggior parte della forza lavoro è impiegata nell’agricoltura di sussistenza, vivendo alla soglia della povertà. Il 10% della popolazione è affetto da HIV, una percentuale molto alta rispetto agli altri Paesi del Continente Nero).

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Data di aggiornamento: 30 Marzo 2023
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