Aboliamo i voti a scuola!
I voti a scuola! Alzi la mano chi non ne ha mai avuto paura. La notte prima di un’interrogazione o di un compito in classe resta spesso nella memoria di tanti come un momento infinito. Ci sono alunni che non ci provano neanche. Mi scrive Paolo, padre di Michele, 16 anni: «Pensavo che succedesse solo alle altre famiglie, poi è capitato anche alla nostra. Il mese scorso non è andato a scuola per paura di un’interrogazione. Aveva una paura fortissima. Lo abbiamo incoraggiato, supplicato, spinto in tutti i modi. Niente. È rimasto a casa. Ha trascorso tutta la mattina sui videogiochi e da allora la scuola per lui assomiglia a una tortura da cui sfuggire. Che cosa possiamo fare?».
Occorre rivedere i sistemi di valutazione scolastica. Specie alle scuole superiori, permangono retaggi del passato davvero difficili da scalzare. In primis, l’utilizzo di voti numerici umilianti che non possono pretendere di alzare la motivazione scolastica, specialmente nei ragazzi più fragili. L’uso del «2-», «2+», «dal 2 e mezzo al 3--» è agghiacciante. Sono tanti gli istituti che cercano di superare questi eccessi e di riportare un po’ di buonsenso e favorire nuovi modi di valutazione. Due anni fa, nella scuola primaria, i voti numerici dallo 0 al 10 sono stati sostituiti da quattro modalità di valutazione narrativa (avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione).
Questo cambiamento, che più o meno ha ripristinato quelli che erano i giudizi in uso nella scuola dell’obbligo fino al 2009, permette perlomeno di uscire dalla rigidità cristallizzante del numero che appiccica una sorta di etichetta sulle prestazioni dell’alunno a scuola, rendendo spesso la frequenza una sorta di gara: «Tu che voto hai preso? Io ho preso… E tu quando lo prenderai?». Con tanti genitori che gongolano per i successi del figlio e, viceversa, altri che si lagnano degli insuccessi. Diventa una sorta di corrida, dove ci si esercita a superare i compagni piuttosto che a migliorare se stessi.
Meglio investire nella «valutazione evolutiva»: saper leggere gli apprendimenti degli alunni in ordine ai loro progressi, ai loro miglioramenti, senza accanirsi sugli errori. Non si può imparare senza sbagliare, l’errore è inevitabile e, soprattutto, utile. Viene chiamato processo di apprendimento, proprio perché si attraversano tanti inceppamenti e incertezze. Prima o poi ci si arriva. Tutti gli alunni ce la possono fare, se concediamo loro il tempo giusto. Uscire da questi equivoci permette di fare nuove sperimentazioni per arrivare il più presto possibile all’abolizione dei voti in tutti gli ordini di scuola. Non sono utili, creano solo paura ed eventuale mortificazione. Uno strumento inopportuno anche per quegli insegnanti che eccedono nel voler colpire gli alunni.
Abbiamo bisogno di una scuola che sappia raccontare i progressi dei suoi alunni, che accolga le loro difficoltà e che, attraverso una metodologia che ho sempre definito «maieutica», li sappia motivare. Altrimenti li perdiamo, facendo crescere la dispersione scolastica, la mancanza di laureati, le certificazioni neurodiagnostiche. Una scuola che funziona non ha bisogno dei voti, ma di nuove modalità per valutare i processi di apprendimento. Abolire i voti enfatizza la natura profondamente pedagogica della comunità scolastica liberando insegnanti, alunni e genitori da un’incombenza che oggi non ha più un senso.
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