Dell’umiltà si è detto molto. Ma spesso, soprattutto al giorno d’oggi, la si dipinge come una caratteristica (non certo una virtù) da rifuggire, tipica di persone rinunciatarie, «perdenti». E invece l’umiltà è tutt’altro, come spiega benissimo il libro di Francesc Torralba Roselló, Umiltà. Una virtù discreta. La parola deriva da humus, terra, e sta quindi a indicare un’attitudine molto concreta, che, appunto, ci «radica» nella vita dandoci una solidità che di rinunciatario non ha proprio nulla. L’umiltà, scrive l’autore – filosofo, teologo e pedagogista catalano – oltre a essere una virtù religiosa (di cui è impossibile non riconoscere le basi giudaico-cristiane) è anche una virtù laica che aiuta a vivere meglio, perché ci rende consapevoli che non tutto dipende da noi. È una qualità prettamente umana, che appartiene alla maturità della persona, e a quanti, in modo appunto realistico, riconoscono la propria fragilità, prendendo consapevolezza dei propri limiti: «Quando ci rendiamo conto delle carenze del nostro essere, della labilità dei nostri atti, dei nostri errori, scopriamo l’umiltà» scrive infatti Roselló.
Per vivere la vera umiltà, però, serve quell’equilibrio interiore che non ci consente di confonderla con complessi di inferiorità o con atteggiamenti di sottomissione, asservimento o pusillanimità. Essere umili ci aiuta piuttosto a divenire persone pienamente responsabili della nostra vita e, al contempo, «di vedere il meglio di altre persone senza sentirle come una minaccia». Di più: ci permette addirittura di imparare l’umorismo, perché solo riconoscendo i nostri limiti possiamo sorridere di noi e dei nostri difetti. Insomma, l’umiltà è un vero toccasana, che ci aiuta a vivere meglio con noi stessi e con gli altri. «È la virtù dell’immeritato dono che, tuttavia, ci è stato dato».
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