Paolo Dall’Oglio e la Comunità di Deir Mar Musa
«Nell’amicizia siamo sacramento gli uni per gli altri dell’amore di Dio». In queste parole di padre Paolo Dall’Oglio cogliamo un’intuizione che ha animato la sua missione nel mondo musulmano, e si è sviluppata nella ricostruzione del monastero di san Mosè l’Abissino (Deir Mar Musa, vicino a Nebek, in Siria) e nella formazione di una comunità dedita alla vita di preghiera, al lavoro manuale e all’ospitalità aperta a tutti. L’aspetto che, sin dagli inizi dell’esperienza monastica, più preme a padre Paolo è quello di vivere come discepoli di Gesù, amando tutti, anzitutto i musulmani, «scoprire come li ama Cristo, in che modo Cristo stesso li guarda».
Una prospettiva non facile da accogliere, soprattutto per le profonde diversità e le ferite che segnano i membri della comunità; ma la ricerca continua della riconciliazione e la vita quotidiana, condivisa in un luogo fisico in cui si accoglie chiunque, gettano le basi perché ciascuno possa guardare all’altro in modo diverso. Senza esperienze come questa o quelle di Taizé e di Tibhirine, non sarebbero stati possibili passi importanti nel dialogo tra islam e cristianesimo, come il viaggio in Iraq del Papa o il Documento sulla Fratellanza umana, firmato ad Abu Dhabi nel 2019. Il libro raccoglie le testimonianze di molte persone legate a Mar Musa. Anzitutto, i monaci, le monache e coloro che hanno intrapreso un percorso monastico per poi scegliere altre strade: tutti raccontano della loro ricerca spirituale e del loro cammino vocazionale, a partire dal passaggio attraverso la porta stretta del monastero, che protegge un luogo da custodire e insieme costringe al gesto umile dell’abbassarsi.
Molti sono gli amici della comunità, come quelli che hanno collaborato alla ricostruzione e al restauro dell’antico sito: ciascuno ricorda la particolare attenzione ricevuta da padre Paolo, capace di attraversare molti confini per giungere al cuore dell’altro, aiutarlo a scoprire la presenza di Dio e sviluppare la relazione con Lui. Nonostante l’assenza di Paolo (dal 2013 non si hanno sue notizie, in seguito al suo rapimento) e le distruzioni della guerra, la comunità di Mar Musa continua la sua presenza (ampliata anche grazie ad altri monasteri affiliati) come segno di fede, di accoglienza e di speranza.