Il posto fisso, una carriera di prestigio, l’amore. Sembra tutto perfetto. E invece un’inspiegabile orticaria invade il corpo della protagonista: «La dottoressa di base mi spedì dalla dermatologa, che mi mandò dall’allergologa. Mi prescrisse una serie di esami. Tutti negativi, mi congedò sconsolata: stavo benissimo». Il cortisone spazza via il sintomo, ma la ferita sanguina in qualche angolo dell’anima. Che cosa guarisce l’infelicità?
Dodici ritratti, dodici storie di «prossima felicità», futura, ma anche e forse con maggior pregnanza di «felicità prossima», possibile, sostanzialmente vicina e raggiungibile, a patto che…
Ecco, la differenza la fa quel «a patto che». Il sottotitolo ci indirizza quando associa a «felici» gli aggettivi «liberi» e «resistenti».
Nome non accessorio dell’amore è la fedeltà, spinta vitale per interpretare al meglio il proprio stare al mondo, con fiducia e creatività, vincendo il tempo, i limiti e le fragilità. A colloquio con don Armando Matteo e Mariolina Ceriotti Migliarese.
«Unicamente la verità può essere ed è il fondamento incrollabile della felicità» scriveva nel suo ultimo editoriale prima del martirio padre Massimiliano Kolbe, figura di grande santo e giornalista.
Il controverso film di Erik Gandini ritrae il paese scandinavo come moralmente imbarbarito, e dove la difesa estrema dei diritti individuali avrebbe accentuato la solitudine e l’alienazione.
Ognuno di noi ha fasi della vita in cui può essere meno reattivo, e se ci è capitato di addormentarci di fronte al televisore, non è così grave, può succedere.