L’arte dinamica della fedeltà
«E così, a un certo punto, abbiamo liberato anche l’amore. Finalmente più nessuna repressione, ognuno fa quello che vuole. Anzi, per alcune coppie l’infedeltà è una specie di garanzia di modernità. E con questa smania di dare ascolto ai brividini del cuore, si disfano allegramente le coppie e gli amori nascono come funghi, in una strana euforia in cui il fallimento sembra una normale conclusione. Ma non ci è mai venuto in mente che è proprio nella fedeltà che si potrebbe trovare una risposta diversa? Non la fedeltà alle istituzioni, e neanche alle regole del buon senso antico, ma la fedeltà a noi stessi...». A parlare non è papa Francesco né un’altra guida spirituale di chiara fama, bensì Giorgio Gaber, che così, nello spettacolo teatrale Anni Affollati, introduceva la canzone Il dilemma scritta con l’amico Sandro Luporini nel 1981.
Tempi bui, quelli, per la fedeltà, e i nostri... peggio! È un peccato, perché, come ben ribadiva Gaber, la fedeltà resta un valore che non si lascia facilmente cestinare in nome della moda del momento. Già, alcuni la considerano una condizione affatto desiderabile, perché evoca loro pensieri come noia, prevedibilità, logorio...
Altri la vedono diversamente. «La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore» riassume Benedetto XVI (a Fatima nel 2010). Stiamo parlando della stessa qualità? Proviamo a porci un po’ di domande e a offrire qualche spunto di risposta su un tema che, qualunque sia la nostra posizione, non è affatto neutro, perché (ha ragione in pieno papa Benedetto) ha a che fare con l’amore e con le relazioni fondamentali della vita, di qualunque vita, sia essa adulta – che sta già facendo i conti con la fedeltà nel suo presente – o giovane – che guarda a una fedeltà possibile come una prospettiva per il futuro –.
«Fedeltà a se stessi» dice Gaber. È il nocciolo della questione, ma se il cantautore scomparso nel 2003 potesse osservare il 2018 noterebbe uno strano fenomeno: spesso si invoca proprio una presunta «fedeltà a se stessi» per motivare la fuga da un impegno preso. E quindi? tanto basta a capire che la difficoltà nell’interpretare la parola «fedeltà» dipende da come, in profondità, noi definiamo noi stessi. Chi siamo. E chi siamo chiamati a essere. Qual è la nostra vocazione. Un registro decisamente intimo e intimamente decisivo. Già, perché non esiste una fedeltà che sia insieme vera e superficiale!
Ne parliamo con don Armando Matteo, già firma del «Messaggero di sant’Antonio», docente di Teologia fondamentale all’Urbaniana e attento scrutatore della realtà postmoderna. «La fedeltà non è un accessorio opzionale. L’amore in quanto tale è portato alla fedeltà. È connaturale, fin dall’innamoramento. Non è l’amore ad avere cambiato le sue leggi, e le persone, se ci pensano bene, lo sanno». Le circostanze, tuttavia, influiscono. Eccome. «I contesti contemporanei – prosegue l’esperto – spingono ad andare contro la propria volontà di essere fedeli all’amore. Non riescono a darci la giusta energia per essere fedeli ai nostri propositi di fedeltà. Penso soprattutto al mondo giovanile, dove i fenomeni vengono alla luce con maggiore evidenza. Quando i fidanzamenti sono così prolungati, i progetti matrimoniali sono rallentati dall’assenza di politiche famigliari, abitative, lavorative, quando prima di poter mettere al mondo un figlio, che sarebbe la cosa più naturale, uno deve tenere conto di tanti equilibri e fattori, con il lavoro lontano o precario, e gli stessi rapporti interpersonali precarizzati… Lo stress postmoderno indebolisce la struttura ultima del soggetto, e quindi anche la fedeltà può farne le spese».
Altra nostra interlocutrice è Mariolina Ceriotti Migliarese, psicoterapeuta e saggista milanese, che pesca dagli scritti di Romano Guardini una splendida definizione di fedeltà: «Forza che vince il tempo, cioè il mutare e il perire, ma non come la durezza della pietra in rigida fissità, bensì come forma vitale, che cresce e crea». «In modo molto convincente – esordisce la dottoressa –, Guardini delinea una qualità che oggi, all’interno del mutamento culturale in atto, è difficile da trasmettere. Le parole vanno consumandosi con una rapidità crescente. Se “fedeltà” evoca qualcosa di negativo, dovrò sforzarmi di ridire lo stesso significato con un nuovo linguaggio».
La dottoressa Ceriotti Migliarese ha affrontato il tema in La famiglia imperfetta e nel successivo La coppia imperfetta (edizioni Ares), accomunati dalla qualifica dell’«imperfezione». «La fedeltà – argomenta la nostra interlocutrice – non è affatto un valore per i perfetti, che tra l’altro non esistono. Non credo si possa perseguire qualcosa di buono in modo moralistico, perché lo ridurremmo a un obiettivo, paradossalmente, narcisistico: io riesco a essere fedele perché sono bravo. È una trappola nella quale una persona buona rischia di cadere, vivendo il valore come una meta perseguibile con le proprie forze personali e basta. La tentazione dell’infedeltà c’è per tutti, quotidiana». Ecco in azione la «forza vitale che cresce e crea» evocata da Guardini. «La vita matrimoniale buona – prosegue la terapeuta – è quella che è stata capace di durare nel tempo al di là delle fragilità incontrate».
Il dossier completo L’arte dinamica della fedeltà è pubblicato nel «Messaggero di sant’Antonio» di febbraio e nella corrispondente versione digitale.