Anche il lettore che si occupasse con assiduità della comprensione del Medio Oriente, e della questione palestinese e israeliana, converrà nel riconoscere l’originalità del libro di Meir Margalit. A colpire fin da subito è proprio il curriculum dell’autore: chi critica l’attuale impianto di «gestione» di Gerusalemme è un ebreo israeliano, emigrato nel 1972 dall’Argentina al seguito di un gruppo della destra sionista, combattente nella guerra dello Yom Kippur (1973).
L’americana Diane Kaplan, l’araba Meera Eilabouni e l’israeliana Dana Keren formano il gruppo musicale «Three Women, Three Mother Tongues». Cantano in ebraico, arabo e inglese. Così la musica affratella e unisce cristiani, ebrei e musulmani.
Fate hummus, non la guerra. La bottega di Abu Shaker era affollatissima: ragazzi israeliani e ragazzi palestinesi a fianco uno all’altro. Continuo a sperare in una possibile convivenza fra i due popoli.
L’incontro con una giovane donna a una festa di matrimonio, in Palestina, ospite improvviso di un banchetto sul monte dei vigneti circondato dal Muro. E le domande fioccano.