Una società vive e cresce finché ogni cittadino sa leggere nella propria ricchezza anche il nome di tutti gli altri che l’hanno in qualche modo generata, e si sente espressione di una generosità universale.
La vita politica e sociale è peggiorata perché mancano contatti veri con diversi veri, concreti. Manca l’esercizio della convivialità delle differenze, la capacità di sentire le idee dell’altro anche mie, perché nate dal dialogo.
Per le misure contro la povertà si dovrebbero ascoltare i poveri veri, oppure i loro rappresentanti «per vocazione», che si affianchino ai tecnici e ai politici che la povertà la conoscono quasi sempre per sentito dire.
Nelle aziende servono manager capaci di vedere e di riconoscere il dono. Anche se tale riconoscimento crea gratitudine, e la gratitudine rende vulnerabili e fragili, una vulnerabilità temuta dalla nostra cultura del business.
La democrazia deve entrare anche nella vita economica.Chi può governare l’economia di oggi, infatti, sono solo i cittadini, cioè noi. Ma occorrono dei cambiamenti importanti.
Le comunità devono fare i conti con un paradosso che nasce quando si mettono insieme liberta personale e adesione al "gruppo". Come uscirne? Inventando nuove forme di libertà...