Tre riflessioni sul lavoro: una persona è sempre più grande del lavoro che fa; il lavoro è una vocazione; serve una nuova etica del lavoro dove le mani e il pensiero diventino alleati.
In Ap 3,17 troviamo scritto: «Sono ricco, non ho bisogno di nulla». È l'inganno che si cela dietro il denaro: la promessa che grazie a esso non avremo più bisogno di nessuno, neanche di Dio.
Una società vive e cresce finché ogni cittadino sa leggere nella propria ricchezza anche il nome di tutti gli altri che l’hanno in qualche modo generata, e si sente espressione di una generosità universale.
La vita politica e sociale è peggiorata perché mancano contatti veri con diversi veri, concreti. Manca l’esercizio della convivialità delle differenze, la capacità di sentire le idee dell’altro anche mie, perché nate dal dialogo.
Per le misure contro la povertà si dovrebbero ascoltare i poveri veri, oppure i loro rappresentanti «per vocazione», che si affianchino ai tecnici e ai politici che la povertà la conoscono quasi sempre per sentito dire.
Nelle aziende servono manager capaci di vedere e di riconoscere il dono. Anche se tale riconoscimento crea gratitudine, e la gratitudine rende vulnerabili e fragili, una vulnerabilità temuta dalla nostra cultura del business.