A.A.A. leader cercasi
Uno dei fenomeni più inquietanti del nostro tempo è la sfiducia crescente dell’opinione pubblica nei confronti della politica. Sono in molti a pensare che sulla scena internazionale, ma anche qui a casa nostra, sia impossibile un vero rinnovamento. Questo stato d’animo pessimistico è molto radicato anche in tanti cristiani che si sentono confusi e disorientati. In effetti, si fa presto a criticare le classi dirigenti accusandole di rispondere al diktat dei poteri occulti, dimenticando invece che nel nostro tempo esse sono la cartina al tornasole di quelle che Seth Godin, l’inventore del marketing virale, ha definito tribù. «Una tribù – egli spiega – è un gruppo di persone in contatto le une con le altre, legate ad un leader e ad un’idea». Ecco che allora la variegata percezione pubblica e le schiere di pifferai che la animano millantando soluzioni sono legate al fatto che il mondo è davvero pieno di tribù che si formano sui temi più disparati, compresi quelli politici, influenzati da un certo tipo di comunicazione, molto superficiale, rispetto alla reale consistenza dei problemi, come ad esempio quello delle migrazioni.
Qui non si tratta solo dell’informazione mainstream (delle grandi testate), ma dell’influsso incontrollato e imprevedibile soprattutto dei social network. Un areopago, questo, dove spesso imperversa il pensiero debole collettivo, quello dei luoghi comuni. In questo contesto, il leader non è colui che riceve un’investitura dall’alto, ma dal basso, vale a dire è colui il quale intercetta la «pancia» dei membri della tribù. I grandi leader, così come i grandi comunicatori, possiedono un carisma che scaturisce innanzitutto e soprattutto dall’empatia, ovvero dalla capacità di entrare in sintonia con tutti i singoli componenti della tribù, conquistandone la fiducia sulla base della presunta autorevolezza delle idee e sulla capacità di intercettare quello che in gergo tecnico si chiama il «consenso degli elettori».
Ciò determina una sorta di circolo vizioso per cui, come diceva saggiamente il grande sociologo Zygmunt Bauman: «I governi non hanno poi tanto interesse a placare le paure dei cittadini, piuttosto alimentano l’ansia che deriva dall’incertezza del futuro spostando la fonte d’angoscia dai problemi che non sanno risolvere a quelli con soluzioni più mediatiche». Bauman ha sempre sottolineato come in Europa le comunità diventino spesso «la comoda valvola di sfogo per il risentimento della società, a prescindere dai valori dei singoli, da quanto impegno e onestà questi mettano in gioco per diventare cittadini». Col risultato che si acuiscono intolleranze ed estremismi. Pertanto ha davvero ragione il saggista camerunese Yvan Sagnet nell’affermare che «quando i poveri si convincono che i propri problemi dipendano da chi sta peggio di loro, siamo di fronte al capolavoro delle classi dominanti».
In base a queste considerazioni, il leader di cui avremmo bisogno dovrà essere in grado di dialogare e mediare sulla base di idee e proposte, non ideologiche ma trasversali, affermando quella visione d’insieme del «bene comune» che alle singole tribù manca. Un personaggio riconosciuto da tutti per le sue capacità valoriali, relazionali e di sintesi, le uniche in grado di consentirgli di governare il caos. Un indirizzo in linea con quanto diceva il cardinale Carlo Maria Martini: «La vita politica è la più alta tra le attività umane, quella che cerca di porre in atto le condizioni per il vero bene comune e il vero progresso di tutti». E Paolo VI affermava: «La politica è la più alta forma di carità». Occorre un sussulto di responsabilità e di speranza da parte di tutti i credenti e laici, affinché il nostro Paese e in termini più generali il consesso delle nazioni ritrovino l’indispensabile speranza per la costruzione di una società più equa e giusta per tutti.