Faccia a faccia coi migranti: ecco cos’è cambiato
Quelli dell’estate 2017 saranno ricordati come i mesi della violenza contro i migranti. E non ci riferiamo solo agli idranti, ai manganelli e alle cariche della polizia per lo sgombero di un palazzo occupato da rifugiati eritrei a Roma. La violenza può avere molti aspetti; spesso quella più visibile non è la peggiore e si affianca ad altre, altrettanto terribili, ma più difficili da individuare, perché coperte da dichiarazioni ufficiali, pretesti legalitari, accordi tra partiti e intese tra Stati. E da molta, molta ipocrisia.
In questi mesi nel discorso pubblico si sono affermati molti principi violenti ammantati da ragionevolezza e realismo. Si è detto che i migranti devono essere respinti per il loro bene, per scoraggiare gli scafisti che guadagnano sulle loro vite. Si sono tirati in ballo principi di ordine («meglio ciascuno a casa sua e si può provvedere al benessere di tutti»). Infine si è affermata la necessità crudele del distacco emotivo («non possiamo occuparci di loro, abbiamo già i nostri guai»).
In questi mesi è avvenuto che la «violenza» contenuta nel discorso pubblico sia diventata senso comune, disumanità diffusa, indifferenza, assenza di pensiero. In gran parte dell’opinione pubblica le parole hanno modificato il loro senso. La solidarietà nei confronti di chi soffre è diventata «solidarismo velleitario», la pietà «buonismo pericoloso». E le priorità si sono rovesciate nel profondo delle coscienze. Non si dibatte più su come accogliere i migranti, ma su come respingerli, farli ritornare da dove sono venuti. Su questo si cercano e si raggiungono accordi. Gli Stati si chiedono se è meglio schierare esercito e polizia per evitare le partenze e pensano a come ridurre o eliminare il soccorso in mare. Riflettete.
Le immagini dei barconi rovesciati, il conto dei corpi annegati nel Mediterraneo sono usciti dall’obiettivo dei mass media. La pietà e l’angoscia non entrano nelle case degli italiani all’ora di cena. Così si può evitare di pensare che i respinti muoiano nei campi libici o nel deserto. Si è indifferenti al fatto che siano in mano a un regime o addirittura a gruppi mafiosi che li sfruttano e li torturano. Anzi si forniscono a quei gruppi e a quei regimi risorse e aiuti. L’Africa è lontana. La ricerca della legalità invocata contro gli scafisti, si ferma di fronte ai tanti soprusi commessi a qualche centinaio di chilometri di distanza contro chi ha cercato di fuggire dalla guerra e dalla fame.
Qualcuno documenta che le donne vengono violentate? Pazienza, l’importante è che non capiti sulle nostre spiagge. Gli sbarchi si sono ridotti drasticamente? È un bene, la dimostrazione che la politica della sicurezza funziona. Nessuno nega che l’accoglienza abbia costi e sia spesso difficile, ma, proprio per questo, ha valore ed esprime la nostra civiltà. Il ribaltamento delle priorità e dei principi peserà molto nei prossimi anni. Perché è nelle coscienze che si forma il senso dell’umanità, il rapporto con gli altri e con la vita. Ed è proprio questo che nell’estate 2017 è cambiato. Responsabilità della politica? Sicuramente. Ma, a questo punto, anche di ciascuno di noi.