12 Settembre 2017

I profughi servono a destabilizzarci

Un lettore afferma che le masse di disperati sono usate come truppe d’invasione e l’accoglienza, pur essendo un precetto cristiano, deve essere riletta alla luce della gravità del fenomeno di oggi.
Immigrata con i due suoi figli. Espressione preoccupata.
Immigrata somala con i due figli, durante lo sgombero di Piazza Indipendenza a Roma, lo scorso agosto.
SIMONA GRANATI/CORBIS VIA GETTY

«Vorrei aggiungere alcune osservazioni alla vostra risposta dal titolo “Umiltà in dialogo” (lettere numero di luglio-agosto 2017). L’accoglienza e la carità sono precetti cristiani; il soccorso ai naufraghi è una consuetudine vecchia quanto il mondo, ma quello che accade oggi è un fenomeno più vasto. Le masse di disperati sono usate come truppe d’invasione per destabilizzare la società ospite... Mi dispiace, ma resto della mia idea: bisogna intervenire in Africa per fermare questo dramma ed eliminare le cause dell’esodo. I profughi somigliano ai pacchi postali: le Ong (finanziate da Soros?) li prendono dagli schiavisti, poi li sbarcano in Italia, infine presentano il conto! Non mi sembrano mosse da spirito samaritano!».

Francesco C. – Napoli

Gentile signor Francesco, forse non mi sono spiegato bene. Quando parlo di accoglienza e soccorso ai naufraghi non intendo negare la realtà più evidente, quella cioè che i grandi esodi di disperati andrebbero risolti alla radice eliminando le cause che li provocano: guerre, fame, povertà, violenza, mancanza d’acqua. Né intendo giustificare chi specula sulle disgrazie altrui, inclusi eventuali profittatori di casa nostra. Sta nel mucchio anche chi si nasconde dietro al buonismo e non opera concretamente per creare un sistema di accoglienza e inserimento degno di un Paese civile, con regole chiare e politiche adeguate. In modo che niente e nessuno ci «destabilizzi», per riprendere il suo termine.

Sta di fatto che il problema dei grandi esodi non è solo nostro, ma abbraccia l’intero pianeta e si pone come una questione complessa di governance mondiale. Per risolvere crisi di tale portata alla radice, togliendo spazio a profittatori senza scrupoli, occorre una sincronia di forze e obiettivi a livello dei diversi Paesi; inutile, per esempio, che si condannino i mercanti di uomini, ma poi si accettino affari e compromessi quando conviene. Non si dovrebbero, per esempio, vendere armi a certi Paesi, favorire quelle attività che provocano desertificazione o inquinamento delle acque nei Paesi poveri, continuare a fare affari con nazioni che, ormai si sa, sovvenzionano il terrorismo internazionale.

Il problema è così grave che, se anche chiudessimo tutte le frontiere con doppio filo spinato, i corpi di chi scappa in cerca di speranza arriverebbero comunque a superarlo. Fosse l’ultima cosa fatta nell’ultimo respiro. Nulla si può contro la disperazione. Non vorrei che, con la scusa di agire per il loro bene, abbandonassimo le vittime di un sistema mondiale malato a loro stesse, con un canotto al centro del Mediterraneo. Non sarebbe, questo sì, chiudere gli occhi alla realtà, nell’illusione di esorcizzare il male?

Quello che, invece, a mio parere, bisogna fare sempre di più e sempre meglio è pretendere regole e coerenza, senza trasformare le vittime nel problema e senza aspettarsi facili soluzioni. Chiedere a gran voce impegno alla politica nazionale e internazionale e compiere nel nostro piccolo delle scelte significative: per esempio, comprare beni e servizi solo da chi garantisce il rispetto dei diritti umani e salvaguarda il creato.

Non è impossibile, in molti lo stanno già facendo. Io ho speranza.

 

Data di aggiornamento: 12 Settembre 2017
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