Viaggio mediterraneo. Il tempo di Istanbul
Mi manca Istanbul. Là dove il Mediterraneo prova a salire verso Nord e si inframezza tra l’Europa e l’Asia: qui, il mare diventa stretto, le terre si sfiorano, le acque prendono il nome di Bosforo, il «passaggio della giovenca». È una meraviglia, questa frontiera tra continenti. All’ora del tramonto, gli occhi afferrano il volo dei gabbiani, i traghetti, la sky-line delle grandi moschee. È la bellezza perfetta.
Com’è possibile? In quale città sono stato, l’ultima volta appena due anni fa? Dove si fermano le onde del Mediterraneo capaci di correnti meticce? Oggi leggo: 60 mila funzionari pubblici licenziati, 50 mila cittadini privati del passaporto, oltre 150 giornalisti incarcerati, assieme a 700 magistrati, ai rappresentanti di Amnesty International. E poi avvocati, militari, poliziotti, accademici finiti in galera. «La libertà non esiste in Turchia», ha scritto il premio Nobel, lo scrittore Orhan Pamuk. Lo stato di diritto si è dissolto, mi ha spiegato un giurista che non può consentirmi di scrivere il suo nome. La generazione di Gezi Park, la difesa degli alberi di piazza Taksim, sconfitta e dispersa dopo una breve stagione di ribellione e onore. Eppure io ricordo, ed era già dopo la rivolta perduta di Gezi Park, la musica, i minuscoli sgabelli di caffè affollati fino all’inverosimile, i vassoi del tè, il vecchio libraio attorno alla torre di Galata che offriva Camus tradotto in turco, la folla felice a passeggio all’attracco dei traghetti di Eminönü, le ragazze, velate e a capelli scoperti, ai bar che guardano le acque dello stretto. Ricordo, al martedì, l’ostinato pellegrinaggio alla grande chiesa di sant’Antonio in Istiklal Caddesi, la via più importante della Istanbul europea. Un sorprendente pellegrinaggio di uomini e donne musulmane a un santo cristiano.
Recep Tayyp Erdogan, presidente della Turchia, rafforzato da uno «strano» e sanguinoso colpo di stato contro di lui, ha vinto elezioni e referendum: oggi ha un potere assoluto. Lo usa senza scrupoli: arresta gli oppositori, e più banalmente compra pagine pubblicitarie sui giornali europei (che le pubblicano, mentre, una pagina più in là, criticano il suo regime), mentre arresta giornalisti tedeschi e italiani e reprime ogni dissenso, azzittisce facebook e twitter, oramai considerati cartine di tornasole delle libertà. Il Mediterraneo sembra fermarsi di fronte alle coste turche, le sue maree si ritirano spaventate. Quasi tre milioni di siriani in fuga dalla guerra sono intrappolati in Turchia.
E io mi sorprendo a pensare con nostalgia a cinque ragazzine velate sul traghetto del Bosforo. Nelle loro mani Samsung e Iphone luccicanti. Nei loro occhi la felicità di qualche ora di libertà. Un selfie e poi si mettono in posa per fotografi italiani, scambiano inutili indirizzi Facebook, mettono in funzione il traduttore di Google per chiedere: «Posso vedere le foto che hai scattato?». E ne ridono con gioia.
Scendiamo dalla nave. Le ragazze, a braccetto, scompaiono fra la gente che si affolla attorno ai panini con il pesce, ai venditori di ciambelle al sesamo e delle pannocchie di granturco.