Che la terra ti sia lieve
Non sono ancora le sette di una calda mattinata estiva. Prima di entrare nel camposanto una donna compra dei fiori. Lo fa tutti i giorni. Il piccolo chiosco si trova all’esterno del cimitero di Armo, frazione di Reggio Calabria. Siamo nell’entroterra collinare della zona sud della città, a ridosso del monte San Demetrio.
L’anziana si avvicina a una tomba. Sfiora la lapide, si fa il segno della croce e depone un fiore. Prima di uscire si avvicina a un’altra tomba. Anche qui si china, tocca la croce e sosta in preghiera. Poi depone una piccola gerbera gialla. Sulla montagnola di terra una croce e un cartello: «Qui giace una sconosciuta morta in acque internazionali nel naufragio del 28 maggio 2016».
Nel cimitero di Armo si trovano le salme di 45 migranti (3 bambini, 36 donne e 6 uomini) morti in un naufragio avvenuto nel canale di Sicilia. Il Comune ha messo a disposizione un’area per consentire una degna sepoltura. A sistemare il terreno ci ha pensato un prete: don Alain Mutela Kongo, fino a pochi giorni fa parroco di Santissima Maria Assunta ad Armo.
Insieme con lui, a dare una mano, i ragazzi del gruppo scout, gli uomini e le donne della frazione. «Perché lo avete fatto?», chiediamo. «Non c’è nulla di strano – risponde –: anche loro sono nostri fratelli e hanno diritto a una lacrima, un ricordo, una preghiera».
Il caso del cimitero di Armo, ma anche di quello di Lampedusa (dalle fosse comuni si è arrivati, nel tempo, a dare ai morti una tomba e, quando si è potuto, pure un nome) e di altre realtà, in particolare tra Sicilia, Calabria e Puglia, solleva il problema. I continui naufragi nel Mediterraneo mettono a fuoco il fenomeno.
Dati ufficiali? Impossibile una statistica reale
Dal fatidico 3 ottobre 2013 (quando, al largo di Lampedusa, persero la vita 366 migranti) al 26 maggio 2017 i morti in mare sono stati 14.785 (dati Unhcr, monitorabili a questo link). Anche se un conteggio reale, di fatto, è impossibile: non esistono dati certi.
La maggioranza delle persone annegate non è mai stata recuperata, né identificata. E, nel caso in cui le salme vengano recuperate, spesso non sono identificabili tanto che, anche per questa ragione, finiscono in tombe anonime. Il fenomeno, da anni, è denunciato da Croce Rossa Internazionale, Organizzazione Internazionale per le migrazioni e Unhcr, anche con progetti come «Missing migrants» che si propongono di recuperare i corpi, identificarli e seppellirli. Sono davvero migliaia le vittime senza nome che giacciono sui fondali.
Altrettante le famiglie a cui non giungerà mai la notizia della morte. Come si fa a non comprendere l’importanza di procedere all’identificazione dei corpi e di dar loro una degna sepoltura in una tomba su cui chiunque (che sia un familiare o una persona come quella di Armo) possa deporre un fiore, una preghiera? Per questo siamo andati a cercare storie e buone pratiche che aiutino a capire.
L’umanità riparte da giovani e anziani
Nel piccolo cimitero di Armo, oggi, oltre alle salme dei cittadini del luogo, ci sono quelle di 45 africani (in maggioranza etiopi e nigeriani).
Qualche mese fa, alla cerimonia di sepoltura, dopo la benedizione delle salme da parte dell’arcivescovo di Reggio Calabria, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, il figlio di un Imam, Ahmed El Gendy, un ragazzo egiziano che studia a Reggio Calabria, ha recitato la preghiera islamica.
La cerimonia, che ha visto raccogliersi in cimitero parrocchiani, volontari venuti dalla città e autorità, si è conclusa con un momento di preghiera e canti in lingua subsahariana, eseguiti da un gruppo di immigrate.
«Oggi quelle salme sono seppellite accanto ai nostri parrocchiani. Il nostro unico scopo è dare dignità alle persone – spiega il parroco don Alain Mutela Kongo–. Se non l’hanno avuta da vivi, vogliamo fare in modo che l’abbiano almeno da morti. Quelle piccole montagne di terra rappresentano storie, tutte diverse. Con una decina di parrocchiani, più della metà signore anziane del paese, abbiamo dato una sistemata all’area. Oltre a luogo di culto e preghiera, il cimitero è diventato, così, anche un luogo educativo. A completare l’opera di pulizia, decoro e ripristino si sono aggiunti i ragazzi del gruppo scout di Caserta 2. Giovani e anziani hanno, a volte, meno pregiudizi nel riconoscere nell’altro un fratello. Le prime a raccogliersi in preghiera e a deporre un fiore sono le nostre anziane. Nessuno ha chiesto loro di farlo se non il loro cuore».
La grande sfida di TarsiaFranco Corbelli ti risponde sempre. Anche se, in questo momento, ha appena rintracciato il padre di Cisse, cinque anni, della Costa d’Avorio, sbarcato da solo a Corigliano (CS). «Appena ha saputo che il figlio era vivo, l’uomo si è commosso», racconta il leader del Movimento per i Diritti civili che sta cercando ora di trovare la mamma, prigioniera in Libia. La donna ha voluto salvare almeno il suo bimbo affidandolo ad alcuni connazionali.
Per ricordare quanti perdono la vita in mare, a Tarsia, paesino poco lontano da Cosenza, il Comune ha deciso di erigere un cimitero in cui poter dare a tante persone degna sepoltura. L’idea e le battaglie per la sua attuazione sono del movimento Diritti civili presieduto dall’instancabile Corbelli.
«Finalmente – spiega il sindaco Roberto Ameruso – sarà eliminata la disumanità di quei poveri corpi sepolti con un semplice numero in tanti piccoli sperduti cimiteri calabresi e siciliani che ne cancellano ogni identità, ogni ricordo e ogni possibile riferimento per i loro familiari. Tarsia vuole continuare la sua tradizione di accoglienza. Con questa opera universale vogliamo mandare al mondo un messaggio di pace e di speranza».
Una tradizione e un’identità spiegate da Corbelli mentre accompagna in visita un gruppo di universitari francesi in progetto Erasmus.
«La nostra è una delle regioni di primo approdo. Tarsia è un grande simbolo di accoglienza. Durante il fascismo e il nazismo, proprio in quest’area era ubicato Ferramonti, il primo e più grande campo di concentramento per ebrei stranieri in Italia. Di qui passarono migliaia di perseguitati. Eppure, a differenza di altri campi, fu segnato da tante storie di umanità. All’esterno, le comunità offrivano solidarietà, conforto e accoglienza. Non è un caso se abbiamo voluto il cimitero a fianco del Ferramonti».
I lavori, avviati a settembre, ne faranno il più grande cimitero internazionale dei migranti. Sarà intitolato ad Aylan, il bambino siriano trovato morto sulle spiagge turche. A portarlo alla ribalta delle cronache, i reportage di ARD (RadioTv Pubblica Tedesca), «Neue Zürcher Zeitung» (giornale svizzero), «O Globo» (maggiore quotidiano brasiliano) e la tv araba «Al Jazeera».
L'articolo completo è disponibile nel numero di ottobre 2017 della rivista e nella versione digitale.